Se veramente si vuole introdurre in Italia il sistema tedesco, lavoriamo per questo obiettivo. Ma bisogna farlo veramente, senza appiccicare nomi finti a sistemi, come quello di cui si parla in questi giorni, che altro non è che un proporzionale puro con sbarramento al 5%. Se quasi l’intero Parlamento è favorevole al modello tedesco, nei suoi aspetti fondamentali, possiamo entro novembre approvare una piccola riforma costituzionale, che introduca la sfiducia costruttiva, inseparabile in Germania dalla legge elettorale: un governo può cadere in Parlamento solo se allo stesso tempo una maggioranza propone un nuovo presidente del Consiglio. È una norma essenziale per la stabilità dei governi. Al Senato è stata depositata una proposta di legge costituzionale che si muove in questa direzione. In Germania c’è un bicameralismo differenziato e un Senato delle Regioni che non possiamo pensare di introdurre adesso. Ma è possibile riprendere una norma della Bicamerale De Mita-Iotti: Camera e Senato insieme, in seduta comune, votano la fiducia, senza più le maggioranze diverse che rendono instabili i governi. Perché non porre anche questo a fondamento di un’intesa utile per il Paese? Su questa base costituzionale, si può approvare una legge elettorale realmente uguale a quella tedesca. 50% degli eletti nei collegi uninominali con meccanismo maggioritario: chi vince nel collegio entra il Parlamento; 50% eletto col proporzionale e liste di candidati molto corte; soglia di sbarramento al 5%. Sarebbe opportuno intanto che la minoranza interna al Pd sulla legge elettorale, quando verrà stravolto il testo base attuale per ridurlo a puro proporzionale, non alzi bandiera bianca, ma conduca una battaglia nei gruppi parlamentari, in commissione e in aula. Nell’avanzare questa proposta, sostenuta ieri da 31 senatori del Pd, non siamo stati né ingenui né illusi: sapevamo bene che non sarebbe stata presa in considerazione né dal segretario del nostro partito, Matteo Renzi, né tanto meno da Berlusconi, Grillo o dal lepenista Salvini. Eravamo consapevoli che non sarebbe stata discussa con serietà da una Presidenza del gruppo Pd che non ha ritenuto giusto convocare l’assemblea dei senatori prima della decisione della Direzione. Io ritengo che vi sia però il dovere di presentarla al Parlamento e al tempo stesso al nostro Paese. So bene che le elezioni sono il sale della democrazia. In tanti diciamo che votare forzatamente tre mesi prima della scadenza naturale, con una brutta legge elettorale, che non dà stabilità ai governi, ruba ai cittadini il diritto di scegliere rappresentanti e maggioranze, espone al rischio di un esercizio provvisorio di bilancio, con il peso del nostro enorme debito pubblico, rappresenta un salto nel buio e un atto di irresponsabilità. Su questo non si possono accettare lezioncine di rito da parte di chi, come quelli del M5S, scambia la partecipazione democratica in un partito con consultazioni informatiche sottoposte, come a Genova, alla validazione finale del leader. Può darsi che sia fuori moda, ma per me il rispetto delle regole e della Costituzione restano fondamentali: non si può ridurre, in un accordo tra partiti, a quello di semplice notaio il ruolo del presidente della Repubblica. Spetta a lui fissare la data delle elezioni! Non si può, in incontri tra Forza Italia e Pd, stabilire il giorno di conclusione per l’approvazione della legge elettorale, dimenticando che spetta farlo alla Conferenza dei capigruppo convocata e diretta dal presidente del Senato. Oltre al 7 di luglio, è stata decisa anche l’ora? Vorrei che il Pd svolgesse fino in fondo un ruolo da protagonista in Italia e in Europa. Questo è stato il nostro sogno, la ragione per la quale abbiamo lasciato vecchie appartenenze politiche. Invece oggi mi sento fortemente preoccupato per il suo futuro: una legge proporzionale, come quella concordata con Forza Italia, Movimento Cinque Stelle, Lega e accolta anche da Articolo 1-Mdp e Sinistra italiana, mina le sue ragioni fondative, le basi su cui si regge un partito di centrosinistra. Sono dunque gravi per l’oggi e per il domani le responsabilità di chi l’ha voluta imporre, senza neanche coinvolgere i nostri militanti, addirittura gli stessi deputati e i senatori. Chiedere un referendum, previsto dallo Statuto, su legge elettorale e alleanze non è un’eresia: dovremmo farlo con convinzione, visto che al recente congresso e alle primarie tutti, senza eccezione, abbiamo sostenuto il maggioritario. Fare orecchie da mercante vuol dire ostinarsi a camminare sulla vecchia strada: sostituire “l’io” con un “noi” non come esperienza di larga partecipazione, ma semplicemente adottando la forma grammaticale del “plurale maiestatis”.