Più volte da parte delle forze politiche è mancata la volontà di agire con coraggio e con una visione. L’immobilismo ha lasciato vuoti, complicato i problemi, deluso i cittadini, fino ad una sfiducia che oggi è profonda. È questo il terreno su cui proliferano i populismi. Corriamo il rischio di commettere ancora una volta questo errore. Mi rivolgo innanzi tutto al mio partito, il Pd: far passare i mesi senza fare quanto è nelle nostre possibilità per dare all’Italia una buona legge elettorale sarebbe un errore politico clamoroso. L’Italia non se lo merita.
Nessuno può seriamente pensare di trarre un qualche vantaggio da due leggi elettorali raffazzonate a seguito delle sentenze della Consulta, diverse tra loro, iper proporzionali. La conseguenza sarebbe l’obbligo di governi di grande coalizione o probabilmente l’ingovernabilità. Dopo aver messo per anni l’accento sulla governabilità a scapito talora della rappresentanza, si passerebbe al uno scenario altrettanto sbagliato, in cui la prospettiva di un governo esce dai radar della politica.
Attualmente abbiamo una legge elettorale per la Camera che prevede capilista bloccati – da cancellare perché i cittadini chiedono di poter scegliere, non di dare deleghe in bianco -, un premio di maggioranza al 40% oggi irraggiungibile e che andrebbe ad una lista, la soglia di sbarramento al 3%. Al Senato nessun premio di maggioranza, sbarramento all’8% per chi non è in coalizione, una sola preferenza su circoscrizioni amplissime regionali o sub regionali. Lasciare queste leggi significherebbe condannare l’Italia alla decadenza e mortificare le istituzioni della democrazia. Bisogna che il Parlamento approvi le nuove leggi elettorali entro la pausa estiva.
Le opzioni più realistiche per me sono due: una versione “tedesca” del Mattarellum, con il 50% di collegi uninominali, il 50% di piccole liste circoscrizionali, con soglia di sbarramento al 5%. In alternativa possiamo avanzare la proposta elaborata dalla commissione nominata dal Pd prima del referendum: assegnazione dei seggi con riparto proporzionale tra le liste che superino il 3% alla Camera e il 5% al Senato, selezione in collegi uninominali, un premio di governabilità del 10% di seggi alla lista o coalizione che arriva prima. In ogni caso servono meccanismi omogenei tra Camera e Senato, potere di scelta ai cittadini e incentivi alla stabilità. Da questo punto di vista i collegi uninominali restano un fondamento irrinunciabile. So che quasi certamente all’interno dei rapporti di forza oggi esistenti tra i partiti non avremo un vincitore certo in grado di governare da solo. Chi arriverà primo, sostenuto da un premio di governabilità contenuto, avrà riconosciuto il compito dell’iniziativa per formare una maggioranza di governo.
L’esito negativo del referendum non può alimentare nel Pd un sentimento di rassegnazione, l’abbandono di ogni progetto di riforma. Il Paese ne ha bisogno e non si deve assumere il NO ad una riforma come un NO alle riforme. Abbiamo il dovere di chiudere la legislatura con le scelte necessarie per portare l’Italia fuori dalla crisi. Per questo penso si debbano sfidare le altre forze politiche su buone leggi elettorali e sulla possibilità di una “mini riforma costituzionale”, sulla quale i sostenitori del NO al referendum garantivano nei mesi scorsi il loro assoluto impegno: una sola fiducia al governo, con Camera e Senato in seduta comune, e soprattutto la sfiducia costruttiva, come in Germania o Spagna. Un governo e il premier possono essere sfiduciati solo se contestualmente una maggioranza indica un altro presidente del Consiglio. Sarebbero due modifiche semplici ed efficaci per realizzare la stabilità democratica di cui l’Italia ha bisogno, senza indebolire la partecipazione. Vedremo la risposta dei vari gruppi politici – in particolare di Area Popolare, Forza Italia, Lega, Movimento Cinque Stelle – incalzandoli, non stando noi all’angolo.
Infine si metta mano ad una revisione dei regolamenti parlamentari: si possono fare molte cose utili, ad esempio imponendo un diverso rapporto tra lavoro delle commissioni e attività dell’Aula. In Italia il Parlamento continua imperterrito a funzionare come nell’ottocento o nel primo novecento: perché non si dovrebbe lavorare, come negli altri parlamenti o in quello europeo, una settimana nelle commissioni e una settimana con sessioni plenarie dell’Assemblea? Uscirebbero provvedimenti più chiari, scritti meglio ed un confronto politico più costruttivo.
Penso che di tutto questo il Pd, come attuale primo partito, dovrebbe farsi carico, con responsabilità, convinzione, determinazione.