In queste ore è in primo piano il tema dei vitalizi di oggi, che tali non sono. Per quanto mi riguarda vorrei dare un mio contributo – che ho già sottoposto alla presidenza del Senato – anche su quelli del passato e avanzare una proposta sugli stipendi dei parlamentari, tema invece assai trascurato.
È in atto una campagna denigratoria da parte di esponenti politici, partiti, movimenti e di alcuni organi di informazione nei confronti del Parlamento. Un’autentica gogna mediatica che utilizza, talora inventando, storie su vitalizi e retribuzioni.
Iniziamo dai vitalizi in vigore: vogliamo dire che dal 1° gennaio 2012 non ci sono più? Non si può far continuare una campagna che mistifica la realtà, nascondendo anche il fatto che vi erano comunque, a loro base, contributi obbligatori, versati dai singoli. Per la fase successiva al 2012, si è passati interamente ad un regime contributivo, con una norma, questa sì assurda, che va cancellata, relativa ai famosi 4 anni, 6 mesi e 1 giorno: per i nuovi eletti, se non scatterà quella data, quanto versato verrà annullato. Neanche restituito. Allora: sia semplicemente e normalmente applicato il sistema contributivo, come per ogni cittadino italiano. I contributi versati, qualunque sia il periodo di permanenza in Parlamento, vadano a cumularsi nel conto contributivo del singolo.
Ma esiste anche un problema per i “veri” vitalizi, quelli che riguardano gli anni precedenti al 2012. Se ne parla spesso in modo demagogico, per sollevare polveroni e non fare nulla. Penso che vada affrontato con serietà e rigore, sapendo che potrà domani produrre effetti su altre categorie di cittadini, dai magistrati ai giornalisti, per fare qualche esempio.
Si proceda ad una loro riforma ragionando su due opzioni: o fissazione di uno sbarramento – ad esempio corrispondente all’indennità netta, senza le altre voci che ad oggi concorrono alla retribuzione – al di sopra del quale non si possa andare, considerando sia il vitalizio che eventuali altre forme di pensione; oppure la proposta del presidente dell’Inps Boeri, di una sorta di regime misto, applicando il sistema contributivo al di sopra di una certa soglia.
Si valuti, si decida, con una legge urgente, evitando un mosaico di situazioni, che vanno dallo sfoggio di misure mal formulate, segnate dal fascino della propaganda, all’inerzia che vuol mantenere tutto, senza cambiare niente.
Per le retribuzioni, è innegabile l’esigenza di un intervento incisivo.
Per ovvie ragioni provo a indicare una proposta avendo come base la situazione del Senato, non sensibilmente diversa è quella della Camera.
È necessario intanto semplificare le voci che compongono i compensi dei parlamentari e procedere ad una loro complessiva riduzione.
Ad oggi le nostre retribuzioni al Senato sono composte da quattro voci: un’indennità lorda di 10.385,31 euro (circa 5000 netti); una diaria di 3500 euro, con possibili decurtazioni legate alle assenze dai lavori; un rimborso forfettario delle spese generali di 1650 euro; un rimborso delle spese per l’esercizio del mandato di 4180 euro, la cui metà è soggetta a rendicontazione, mentre l’altra metà viene erogata in modo forfettario.
La mia proposta è questa: equiparazione dell’indennità parlamentare a quella del sindaco di Roma: 9762 euro lordi, circa la metà netti. È la proposta che il Pd ha avanzato già nella campagna elettorale del 2013. Riduzione della diaria a 2000 euro per i senatori non residenti a Roma, che dovranno sostenere le spese di alloggio, e a 1000 per chi invece abita nella Capitate; la cancellazione del rimborso delle spese generali; l’abolizione del rimborso delle spese per l’esercizio del mandato e per le missioni. Tra le spese per l’esercizio del mandato è compreso il rapporto di lavoro con i collaboratori di segreteria. È sbagliato che sia gestito personalmente dai parlamentari. Sono evidenti le criticità legate ad un utilizzo discrezionale delle risorse e alla natura del rapporto di lavoro che si viene a creare tra senatore e collaboratore. Bisogna adottare lo stesso sistema del Parlamento europeo: i collaboratori devono essere assunti, con contratti di lavoro subordinato e una scadenza legata alla fine del mandato del parlamentare, direttamente dall’amministrazione del Senato.
Il risparmio complessivo di queste misure è, secondo i miei calcoli, di circa 8-9000 euro al mese per ciascun senatore, 30 milioni di euro l’anno per il Senato. Senza mortificare l’attività dei parlamentari, respingendo semplificazioni demagogiche e affidandosi a sobrietà, rigore, buon senso.
Infine, due altre misure, certo di natura minima, ma che forse rivestono un piccolo valore simbolico: porre come obbligatorio, in treno, il viaggio in seconda classe, come si è realizzato in aereo con l’economy per le tratte europee. Abolire le indennità di carica (dai vice presidenti fino ai presidenti di commissione), come è stato disposto negli incarichi di governo per ministri e sottosegretari che ricoprono anche un ruolo di parlamentare.
Ecco dunque cosa fare: da un lato combattere con forza, senza cedimenti o illusorie strizzatine d’occhio, i populismi autoritari, ostili alla democrazia e al Parlamento; dall’altro intervenire con decisione, in modo compiuto, per rendere sobri e trasparenti i trattamenti dei parlamentari.