Senatore, la scissione è davvero inevitabile?
«La speranza, che si fonda sulla responsabilità di ognuno, è che venga cancellata dal nostro vocabolario la parola scissione. Deve esserci un impegno comune. Voglio riprendere e rilanciare l’esortazione di Bersani e dire non “fermatevi” ma “fermiamoci”, tutti, per non fare un passo verso il baratro».
Immaginava che si potesse arrivare a tanto? Forse la situazione è sfuggita di mano a tutti?
«Non pensavo che si potesse arrivare alla possibile rottura di quello che è stato per molti di noi il senso di una vita politica. Al Pd ci abbiamo lavorato per venti anni, da quando Romano Prodi scese in campo e fondò l’Ulivo. Ma evitare il disastro è ancora possibile».
E come? Tutti i tentativi sembrano naufragare.
«Si rimetta al primo posto la politica e si vedrà che le distanze sono assai minori di quelle che appaiono nella discussione di queste ore sui tempi e sulle date. Guardi, la questione vera sulla quale tutti dovremmo fermarci a riflettere è un’altra. Con tutto ciò che sta succedendo nel mondo, con le diseguaglianze crescenti, con i rischi di guerra e di terrorismo, con il tentativo di mettere in discussione i valori della democrazia, è necessario o no mettere a fuoco cosa deve fare il Pd, le sue priorità? Io dico che c’è bisogno di restituire alla sinistra una sua precisa identità. È su questi temi che il Pd deve porre la sua sfida».
Delrio, in un fuorionda, dice che Renzi non ha fatto una sola telefonata per evitare la scissione. Il segretario dovrebbe fare di più?
«Tutti dobbiamo lavorare per l’unità del partito, ma chi lo guida ha la responsabilità più grande. Al segretario spetta lo sforzo maggiore. Nel Pd bisogna ritrovare una fiducia reciproca. Renzi forse ritiene che qualcuno abbia già deciso la scissione per cui tutto ciò che viene fatto è ritenuto inutile. Ma è uno sbaglio. Bisogna sforzarsi di fare di più. Dall’altra parte, c’è chi dice che resterà nel Pd se Renzi andrà via».
È quello che Renzi ha chiamato ricatto morale…
«Si possono non condividere le priorità poste da Renzi. Io nel 2013 votai Cuperlo, e quindi posso dire che se Renzi intende candidarsi, chi vuole sconfiggerlo deve farlo al congresso. È un errore grave accentrare il dibattito sui rapporti personali, bisogna fare il tifo per il Pd e per la politica e non per le persone».
È anche una questione di regole? La minoranza chiede ci cambiarle.
«Lo statuto del Pd è sicuramente inadeguato e va cambiato. Con Bersani segretario si provò a farlo, ma l’ultimo giorno e non fu possibile. Lo statuto fa del congresso una corsa alla leadership, con mozioni separate e illustrate nei circoli e, alla fine, le primarie a cui vota chiunque. Forse è questa la formula che Renzi trova più adeguata alle sue prospettive ma sono regole che si è trovato, non le ha fatte lui. Ora è venuto il momento di cambiare. La corsa alla leadership non è sufficiente, va impostato un nuovo percorso».
Eppure il tema della data è diventato dirimente. Si può spaccare il partito per un giorno sul calendario?
«Il problema non è se si vota a maggio, a giugno, a ottobre. Il problema è che c’è la necessità di un confronto programmatico serio, di approfondimento alto, capace di coinvolgere il nostro mondo. Fatto questo, poi verranno le distinzioni e la scelta del leader. Altrimenti è come se discutessimo su chi deve guidare il treno senza aver deciso il suo percorso. Non si tratta di fare un favore o un dispetto a Renzi o a Speranza, ma di contribuire a costruire una sinistra plurale che serve all’Italia per sconfiggere i populismi reazionari e le destre antidemocratiche».
È ottimista o pessimista?
«In questi giorni ricevo numerose telefonate e tanti cittadini mi fermano per strada. I nostri elettori sono demoralizzati e delusi, uno di loro mi ha ricordato le tante scissioni che ci sono state negli ultimi venti anni. Stiamo correndo precipitosamente verso il disastro politico. Da un lato rischiamo di demotivare e perdere i nostri elettori, dall’altro rischiamo, a cascata, di perdere le amministrative di primavera, di provocare la caduta delle giunte regionali in Toscana e Puglia, di perdere le elezioni politiche quando si faranno. Sono d’accordo con Antonio Bassolino, prima bisogna creare la cornice che dia un orizzonte al Pd e poi aprire la discussione sulla leadership. Non comprendere questa esigenza ci porterà diritti alla sconfitta».