Questo blog può sembrare fuori tema rispetto alle urgenze della quotidianità: invece si riferisce ad una questione rilevante, che può segnare il futuro di una convivenza democratica tra le nazioni e al loro interno.
In Marocco chi vuole uscire dall’Islam non rischia più la condanna a morte. Il Consiglio superiore degli Ulema, massima autorità religiosa del paese, apre così alla libertà di conversione ad altre religioni. Il Consiglio infatti ha rigettato una sua precedente fatwa del 2012 secondo la quale i marocchini colpevoli di apostasia sarebbero andati incontro alla morte. Una regola comune per tutti i paesi arabo-musulmani, prevista in varie forme dalle norme giuridiche in vigore.
È una notizia importante, per quanto dal nostro punto di vista possa sembrare scontata, normale. Invece non è così e questi ritardi nella costruzione di una cittadinanza fondata su pluralismo e democrazia aiutano da un lato quanti vogliono uno scontro tra civiltà e religioni, dall’altro un fondamentalismo islamico radicale, portatore di violenza, terrorismo, soppressione del dissenso.
Un riformismo nel mondo arabo è non solo possibile, ma sta andando avanti, a volte sottotraccia, in paesi come Marocco, Tunisia, Giordania. I fermenti positivi delle primavere arabe non sono seccati.
Nel marzo 2015 a Tunisi, in risposta all’attacco al museo del Bardo, in cui morirono 23 persone, tra cui 4 italiani, si tenne una manifestazione con almeno 70 mila persone. Il messaggio forte era “i terroristi non sono la Tunisia”. La Tunisia sta consolidando i valori che animarono la “rivoluzione dei gelsomini”. La sua Costituzione riconosce diritti che sono fondamentali non per l’Occidente o il mondo islamico, ma per l’umanità.
Il Marocco si è dato una Costituzione avanzata, che fonda una “monarchia costituzionale”, e assume a valori guida la legalità, il rispetto dei diritti e delle libertà. Sempre il Marocco ha, ormai da qualche anno, un “partenariato” con il Consiglio d’Europa, per consolidare percorsi di radicamento della democrazia, dell’autonomia di Regioni e Comuni, e dei diritti umani, del pluralismo culturale e religioso. Sulla stessa strada si muove la Giordania.
La democrazia non si esporta, ma è possibile favorire la sua nascita, il suo rafforzamento, la diffusione dei suoi valori.