Di: Paolo Mainero

Attenti a non trasformare il Pd in una confederazione di correnti. E’ il timore di Vannino Chiti, senatore del Pd, che dopo le dimissioni di Renzi e la nascita del governo Gentiloni e alla vigilia del congresso, invita il partito a un’assunzione di responsabilità.

Gentiloni ha ottenuto la fiducia alla Camera, oggi tocca al Senato. Il governo nasce nel segno della continuità? Renzi era stato chiaro già durante la campagna referendaria. Le sue dimissioni non sono state una sorpresa. C’è ora un nuovo governo, fondato sul Pd e sulla stessa maggioranza e che ha una continuità di impostazione. Conosco Gentiloni, per due anni siamo stati insieme ministri nel governo Prodi. Conosco il suo equilibrio, la competenza, la serietà. Ha detto che su alcuni temi, come il Sud e le politiche per il diritto al lavoro, si devono ricercare risultati più forti e incisivi rispetto a quanto di pur importante è stato fatto nei mille giorni di Renzi. Mi sembra un’ottima premessa.

La squadra di governo è rimasta pressoché immutata. Si aspettava un rimpasto più ampio? Penso che chi guida una squadra, sia esso un sindaco, un presidente di regione o un presidente del consiglio, debba avere autonomia di valutazione e scelta. Credo che Gentiloni, per le questioni politiche di cui doveva tener conto e per il fatto che la legislatura è comunque nella fase conclusiva, abbia fatto le scelte che riteneva più giuste. Ci sarebbero aspetti su cui poter discutere, ma mi sembra che debba essere preminente per tutti il fatto che la crisi sia stata risolta in tempi brevi. E penso, infine, che Gentiloni abbia compiuto un atto politicamente forte: pur avendo numeri risicati al Senato non ha accettato le condizioni dei verdiniani. E’ una scelta che dimostra autonomia e assunzione di responsabilità.

Gentiloni ha detto che il governo durerà finché avrà la fiducia delle Camere. Detta così, potrebbe arrivare fino al 2018… Gentiloni deve dire così perché così è nella vita delle istituzioni della Repubblica. Del resto, il governo dovrà affrontare importanti questioni nazionali, dal terremoto alle banche, dal lavoro all’immigrazione, ed è atteso da appuntamenti internazionali come l’anniversario dei Trattati di Roma a marzo e il G7 a maggio. Penso che sarebbe un errore se davanti a questi impegni ci si mettesse con l’orologio in mano a stabilire scadenze.

Bersani ha spiegato che voterà solo provvedimenti convincenti. E’ un avviso ai naviganti? C’è stato un errore fatto da tutti, e accettato anche dalla minoranza del Pd, di non aver fatto una discussione seria sul referendum. Sono un po’ sconcertato. Il risultato del referendum è stato netto e occorre prenderne atto. Ma una vicenda così rilevante non può essere accantonata senza una riflessione attenta e non vale neanche il discorso della polvere sotto il tappeto perché c’è da fare i conti con milioni di cittadini che hanno votato. Le divisioni interne hanno pesato e si è trasformato il referendum in un voto politico.

Per tornare all’avviso di Bersani, sarebbe dunque necessario non ripetere gli stessi errori? E’ giusto che su scelte del governo che hanno forte impatto e rilievo, come lavoro, migrazione, Sud, banche, ci siano veri momenti di confronto nel Partito e nei gruppi parlamentari. Se l’impostazione fosse che a prescindere dalle questioni ognuno si comporta secondo quanto dispone la propria componente, si trasformerebbe il Pd in una confederazione di correnti.

Domenica, con l’assemblea, parte la fase congressuale. Sarà un congresso da resa dei conti? Già si litiga sulla interpretazione dello statuto.. Capisco, e sono d’accordo, che il congresso debba svolgersi rapidamente. Ma il congresso deve essere un’occasione di approfondimento per costruire un Pd più saldo e più unito e perciò mi preoccupa che non ci sia stata una discussione seria e vera sul referendum. Il congresso dovrà avere un suo svolgimento, anche rapido, ma avrei preferito che prima ci fosse stata un’analisi. Cosa è successo al referendum? Che idea di partito abbiamo? Quali correzioni andrebbero apportate allo statuto? Prima di marcare le differenze andrebbe rafforzata la cornice comune dentro la quale ci ritroviamo tutti.

Teme che si vada a un congresso in cui ognuno tirerà lo statuto dalla propria parte? Temo un congresso in cui ci sono solo candidati e colpi robusti gli uni contro gli altri. Ma un congresso così produrrebbe anche per chi lo vincesse solo rovine e non so a chi conviene essere leader tra le macerie. Inoltre, se ai nostri militanti diamo l’idea di un Pd che discute solo di persone e non di programmi, avremo un vincitore ma non ci sarà una reale adesione alle sue politiche, anzi il corpo del partito le respingerà.

E’ una critica a Renzi? Non solo a lui. Anche la minoranza rischia di scendere sullo stesso terreno. Sento parlare di una candidatura di Enrico Rossi, di Michele Emiliano, probabilmente ne usciranno altre. Ma la sinistra non può presentarsi al congresso con due o tre progetti e candidati, sarebbe una scelta imperdonabile. Bisogna realizzare una proposta unitaria. Un partito moderno non può vivere come una confederazione di correnti, unito attorno al leader del momento. Se il partito dà il meglio di sé solo se alle primarie perde qualsiasi leader e vince il populismo.