Senatore, la campagna referendaria sta assumendo i contorni di una resa dei conti interna al Pd. Ieri, Massimo D’Alema ha lanciato il comitato per il No e ha rivolto critiche dure a Renzi. Da qui al voto, sarà un crescendo di tensioni? “E’ un primo argomento di preoccupazione. Il pericolo è che la campagna referendaria si riduca a una contrapposizione frontale dentro e tra i partiti rispetto alla quale i cittadini rischiano di ritrovarsi senza elementi di merito. Bisogna fare il possibile per portare i temi al centro del dibattito non litigando su di chi è la responsabilità dell’avvelenamento dei pozzi ma facendo ognuno uno sforzo di responsabilità”.

“Chi governa vince”, ripete Renzi. Una favola, a sentire D’Alema…
“Chi governa o non governa lo stabilisce la legge elettorale”.

L’Italicum è la legge migliore per stabilirlo?
“Sull’Italicum ci sarà una valutazione della Corte Costituzionale alla quale è stato rimesso un quesito. E comunque c’è una richiesta, proveniente da più parti, compresa il Pd, di provare a migliorare la legge, possibilmente trovando un punto di convergenza ampio in Parlamento. Io penso che si dovrebbe dare mandato ai capigruppo del Pd di Senato e Camera di avviare un’istruttoria politica autorevole per capire dove l’Italicum può essere migliorato”.
La sua proposta sottintende che neanche lei fa salti di gioia per l’Italicum…
“In Senato non lo votai e ho più volte dichiarato che non sono d’accordo sui cento capilista bloccati perché credo che vada rafforzato il principio della rappresentanza. Ma è anche vero che bisogna mantenere gli elementi che la legge offre per garantire la governabilità al Paese. Del resto, basti vedere cosa sta succedendo in Spagna per rendersi conto che assicurare la stabilità non è un capriccio”.

Dunque, per tornare a D’Alema, la riforma non c’entra nulla con il “chi governa vince”?
“La riforma tende a superare il bicameralismo paritario, che è una necessità per la democrazia italiana, e il superamento avviene su basi condivisibili. Camera e Senato non avranno più le stesse funzioni. Solo la Camera voterà fiducia al governo, come avviene in tutte le democrazie moderne; il Senato avrà compiti importanti su referendum, ratifica dei Trattati Ue, rapporti con gli enti locali. L’Italia ha bisogno di questa riforma, ora è il tempo di scegliere”.

Renzi ha corretto la linea, ha slegato l’esito del referendum dal destino del governo. Come va letta questa correzione, come un gesto di debolezza?
“Renzi ha compiuto una scelta giusta, credo che fosse sbagliato prima vedere la riforma come un sì o un no al governo. La riforma riguarda l’architettura istituzionale ed era stato un errore averla personalizzata”.

D’Alema sostiene che se vince il no cade l’idea del Partito della Nazione. Davvero la riforma è il veicolo per arrivare a quell’obiettivo?
“Vorrei spostare il confronto sul merito. E lo dico io che, con altri quindici senatori del Pd, in prima lettura votai contro la riforma. Successivamente ho votato a favore, ma dopo aver contribuito a costruire un’intesa per modificare il testo in più punti. Il primo riguarda le modalità di elezione del Presidente della Repubblica e dei cinque giudici della Corte costituzionale; il secondo riguarda i consiglieri regionali che diventeranno senatori non in virtù di trattative tra i partiti ma saranno eletti dai cittadini con una legge elettorale. Infine, il terzo punto, il referendum: la riforma introduce il referendum propositivo e abbassa il quorum per il referendum abrogativo”.

Sì, ma il Partito della Nazione?
“Il Partito della Nazione, che neanche io voglio, non ha nulla a che fare con la riforma. Come non era giusto, da parte di Renzi, personalizzare così non è giusto trasformare il referendum in uno scontro nel Pd”.

D’Alema personalizza contro Renzi?
“Lo dico senza polemica: vi sono almeno tre aspetti della posizione di D’Alema che non corrispondono ai fatti. Dice che la riforma non ha niente a che vedere con l’Ulivo nel 1996, al quale anche lui lavorò con Veltroni, e vedrà che si parla del Senato fondato sulle autonomie locali. E si riveda il programma dell’Unione del 2006, quando era ministro degli Esteri: vedrà che c’è una posizione che va in questa direzione. Inoltre, ricordo a D’Alema che nel 2007 la Camera approvò in commissione un progetto di riforma che non arrivò in aula: la sostanza di quel progetto è quella che è al centro della riforma attuale”.

Vuol dire che D’Alema ha la memoria corta…?
“C’è un ultimo punto, ed è quando D’Alema dice che questo Parlamento non è legittimato a fare le riforme. Eppure egli stesso propone possibili riforme da realizzare in questo Parlamento se dovesse vincere il no. Ma allora, il Parlamento è legittimato o no?”