La Libia è al centro dell’agenda politica italiana e internazionale: lo è anche in quella dell’Unione europea, anche se sarebbe stato preferibile un suo ruolo ancora più attivo piuttosto che quello espresso a volte in modo scoordinato dai singoli paesi. Le acque del Mediterraneo sono sempre più insanguinate dalle morti dei migranti e dai focolai di guerra. Non essere presente per aiutare e costruire pace e stabilità alle sue frontiere segnerebbe l’incapacità dell’Ue di essere tra i protagonisti del terzo millennio.
Il dibattito sembra sempre più concentrarsi sull’ipotesi di un intervento militare da parte della comunità internazionale: nessuna azione di questo genere è pensabile se non richiesta direttamente dal governo libico. Condivido, negli scenari della politica estera e sul caso della Libia, la posizione assunta in modo fermo dal governo italiano. Del resto in questa stessa direzione si è mossa la valutazione di Romano Prodi.
Da settimane si attende la formazione in Libia di un governo di unità nazionale: le divisioni finora lo hanno impedito. Un’azione militare, targata Nato, né richiesta né voluta, provocherebbe come risultato quello di compattare le varie fazioni contro il “nemico comune”. Bisogna sostenere il governo libico, aiutandolo nelle sue necessità: di formazione dell’esercito, di dotazione di armamenti, anche di intervento se necessario. Il terrorismo prolifera dove ci sono povertà, conflitti civili, ingerenze armate straniere. Così tanti giovani aderiscono all’ideologia di Al Qaeda o dell’inventato Stato islamico.
In Libia, così come in Iraq e Siria, il terrorismo sta approfittando di un vuoto di potere e di un disfacimento della società: abbattuti i regimi di Gheddafi e Saddam, esplosa la guerra civile siriana, non si sono trovati, spesso neppure cercati nuovi equilibri istituzionali e di convivenza.
Le armi, si tratti pure operazioni di polizia internazionale, senza politica costruiscono solo sofferenze, morti e disastri per i popoli.
I paesi occidentali hanno una grande responsabilità: dopo aver contribuito al crollo dei regimi dittatoriali, sono venuti meno all’impegno di una ricostruzione di quelle nazioni. In questo contesto fuori controllo proliferano anche bande di criminali che compiono sequestri e uccidono, come nel caso dei due poveri cittadini italiani caduti pochi giorni fa dopo mesi di “detenzione”. Alle loro famiglie e al loro dolore deve andare, in modo non formale, la nostra vicinanza e la nostra comune richiesta di verità.