chiti_vannino_57071Quelle usate domenica scorsa da Papa Francesco sul massacro compiuto contro il popolo armeno sono parole di verità: si è trattato di un genocidio. Il primo del XX secolo, come ha specificato il Pontefice. Secondo il bilancio maggiormente condiviso dagli storici, tra il 1915 e il 1916 un milione e duecentomila armeni furono assassinati nell’Impero Ottomano.
Le reazioni della Turchia sono francamente sorprendenti e non accettabili. Definire le parole del Papa una “calunnia” e una “strumentalizzazione della storia per fini politici” è un ribaltamento dei fatti, un’offesa alle tante vittime innocenti, un rifiuto a fare i conti con il passato, così da operare perché mai più si ripeta.
Chiamare le tragedie con il loro vero nome è un segno di verità: accogliere le parole di verità è un segno di maturità democratica. La Turchia di oggi non ha certo una responsabilità diretta per quel massacro. Ha però il dovere di compiere una scelta importante riconoscendolo per quello che è stato: un genocidio. Non è qualcosa di superfluo: fare i conti con la storia è indispensabile per evitare che il mondo assista ancora a barbarie disumane nell’indifferenza, fingendo di non vederle.
Chi, come noi, è amico della Turchia e vorrebbe vederla a pieno titolo nell’Unione Europea deve con rigore e coerenza chiedere questo passo, così come si è giustamente chiesto alla Germania di riconoscere la barbarie della Shoah. L’Unione si fonda su valori condivisi: in primo luogo la libertà, la democrazia, i diritti dell’uomo, il rispetto e la tutela delle minoranze. La Turchia di oggi può riconoscere le responsabilità nelle tragedie del passato. Abbiamo fiducia che ciò avvenga e che si continui anche così a dare fondamenti solidi alla stabilità democratica delle istituzioni, al pluralismo religioso e culturale, al progresso della convivenza civile.
La questione turco-armena si manifesta dunque come un tema su cui l’Europa politica può svolgere un ruolo di positiva mediazione, contribuendo al dialogo, alla riconciliazione, alla capacità di guardare avanti, per fondare su una cooperazione giusta e la non violenza i rapporti tra i popoli.