Venerdì 12 dicembre c’è lo sciopero generale di 8 ore indetto da Cgil e Uil. ‘Così non va!’, è il titolo scelto. Lo sciopero è promosso per esprimere contrarietà alle scelte del governo sulla riforma del mercato del lavoro, sulla Legge di Stabilità, in generale sulla politica economica. Cgil e Uil avanzeranno proposte attorno a questi temi.
Lo sciopero generale arriva al culmine di un periodo difficile nei rapporti tra governo e sindacati. Ribadisco quanto ho già detto in diverse occasioni: le parti sociali, tutte, sono soggetti insostituibili nelle democrazie moderne. Può sembrare strano ma le nostre società, complesse e fluide, hanno più e non meno bisogno di quegli enti intermedi, espressione di un percorso storico segnato nei protagonisti anche dalla esperienza cattolica. Vanno magari rinnovati, non rimossi: sono una nostra peculiare ricchezza in Europa. Ha ragione Renzi quando rivendica il diritto/dovere di prendere le decisioni in autonomia. Le parti sociali non hanno poteri di veto. La politica ha la responsabilità di approvare scelte nell’interesse collettivo. Il confronto con il Sindacato è però necessario, anzi irrinunciabile. L’Italia vive una fase economica e sociale difficile. Il malessere cresce e si diffonde, si estendono i confini della povertà. Il Paese è attraversato da tensioni sociali, che possono esplodere: è necessario fare squadra tutti insieme, individuare le soluzioni per rilanciare lo sviluppo, contrastare le sofferenze sociali e le disuguaglianze, riaffermare la giustizia.
Nel rispetto della reciproca autonomia, la politica deve saper ascoltare le sollecitazioni che vengono dai corpi intermedi. In caso contrario malumori, rabbia, voglia di opporsi sarebbero sospinti lungo una via pericolosa.
Un di più di confronto con il sindacato sulla delega lavoro sarebbe stato utile. Mi auguro che questo avvenga ora nella stesura dei decreti attuativi e per i nuovi provvedimenti di politica economica che saranno varati nel 2015.
Onorevole Chiti,
Devo dire che mi trovo d’accordo con quanto ha detto riguardo il ruolo con il sindacato e anzi, nonostante sia sostenitore del governo, del PD e del premier penso che sarebbe molto auspicabile aprire una nuova fase di confronto anche nella stesura dei decreti legislativi anche se nel pieno rispetto della delega; soprattutto perché CGIL e UIL sono parte integrante del nostro tessuto sociale. Tuttavia volevo chiederle quale fosse il suo giudizio sulla riforma del lavoro, che ho sentito criticate da lei nonostante sia sostanzialmente riproduttivo del ddl 1873/2009 di cui lei era terzo firmatario.
La ringrazio per le risposte che mi darà
Alberto
Caro Alberto,
come sottolinea lei, i sindacati sono parte integrante del tessuto sociale e sono portatori di istanze molto importanti: quelle del mondo dei lavori, spesso la parte debole delle relazioni economiche.
Quanto al ddl 1873/2009 del senatore Ichino, ci sono due aspetti da evidenziare per spiegare la mia firma di allora e la posizione di oggi sul Jobs act.
Nel 2009 non era stata fatta ancora alcuna riforma del mercato del lavoro, in particolare non c’era ancora stata la riforma Fornero che aveva modificato l’articolo 18, dopo una mediazione che vide in prima fila il Partito Democratico. A quel tempo una riforma era necessaria e il progetto organico di Ichino era un buon punto di partenza per il dibattito parlamentare.
Inoltre, il disegno di legge Ichino aveva un impianto più ampio e ricco rispetto a quello delle legge delega del governo Renzi. Si trattava di un disegno di legge ordinario, che quindi – a differenza della delega – disciplina la materia fin nel dettaglio; prevedeva una cospicua indennità di disoccupazione prolungata per ben 4 anni; introduceva servizi mirati di riqualificazione e ricollocazione professionale; stabiliva una responsabilizzazione dell’impresa per la ricollocazione del lavoratore.
Nella legge delega del governo Renzi, a mio avviso, non era necessario riaprire il capitolo ‘articolo 18’. Gli altri appunti che ho mosso sono i seguenti:
– Resta vaga l’indicazione sul disboscamento della giungla di contratti precari. Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, introdotto dal Jobs act, potrebbe addirittura essere uno dei tanti. Potrà essere quello prevalente e non dar vita a un’ulteriore precarizzazione, se si avranno 3,4 tipologie, cancellando tutte le altre oggi esistenti.
– Per un sistema di ammortizzatori sociali veramente universale servono coperture finanziarie certe. Al momento non è così. La riforma degli ammortizzatori e delle politiche attive per il lavoro avrebbe dovuto anticipare quella dei contratti, non seguirla con il rischio di finire in un binario morto.