Di: Angelo Picariello

Matteo Renzi promette di portare a casa la nuova versione dell’Italicum al Senato entro fine anno. Acclarato ormai che delle modifiche dovranno esserci, e che quindi il testo dovrà tornare alla Camera, il premier deve destreggiarsi fra tre trattative. Quella interna al suo partito, quella dentro la maggioranza – essenzialmente col Ncd – e quella con Silvio Berlusconi, contraente del cosiddetto patto del Nazareno. Un gioco dei veti incrociati, dal quale Renzi è determinato ad uscire per superare il pantano che vede ormai da oltre sei mesi il testo fermo a Palazzo Madama. Lo spalleggia Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera e “pasdaran” della legge elettorale, che torna a mettere in campo la possibilità dello sciopero della fame se si concluderà l’anno senza risultati al Senato. Ma c’è chi da questa accelerazione del premier trae la sensazione che voglia tenersi aperta in questo modo la strada del voto: «Se vuole chiudere la legislatura nel 2018, e io gli credo, perché questa fretta?», si chiede Gianni Cuperlo, leader della minoranza del Pd.

Sì alla soglia abbassata al tre per cento, bene il premio al partito e non alla coalizione. Ma per Vannino Chiti la vera battaglia, ora, è per abolire i capilista bloccati, che renderebbero inefficace l’introduzione delle preferenze, svuotate di ogni valenza nei partiti minori. «Meglio un listino bloccato del 25 per cento, come nel Mattarellum», propone, anticipando il testo di un suo emendamento. L’ex ministro delle riforme, ed ex presidente della Conferenza delle Regioni, è considerato un pò il capofila dei senatori riottosi del Pd sulle riforme. «Ma io non mi sento parte di nessuna minoranza – rivendica -, se chiedo queste modifiche è perché sono preoccupato della tenuta del sistema, della credibilità stessa della politica, e anche del governo Renzi».

Darete quindi battaglia, al Senato?
Mi faccia prima dire i punti su cui siamo d’accordo. Siamo d’accordo sulla soglia abbassata al tre per cento. La governabilità è già assicurata dal premio di maggioranza, questa percentuale più bassa controbilancia bene il testo sul piano della rappresentanza, non è giusto tenere fuori dal Parlamento segmenti di elettorato che possono raggiungere anche un milione e mezzo di elettori. Quella del nostro Paese è una storia inclusiva, è bene tenere dentro e non fuori dal sistema queste minoranze. Su questo e sul premio al partito, con la previsione in subordine del ballottaggio, se nessuno supera il 40, io dico che il nuovo testo è migliorato.

E le preferenze?
Sarebbero un’altra novità importante se con il gioco dei capilista non la si vanificasse. Sarebbero operative solo per il primo partito, mentre nel secondo solo due sarebbero gli “eletti”. In definitiva i “nominati” sarebbero il 60% per cento, se aggiungiamo che i componenti del Senato saranno espressione di secondo livello e non scelti dai cittadini…

Ma con il gioco delle candidature plurime gli “eletti” non saranno molti di più?
Questo non risolve, crea solo un altro problema. Chi si candida in 10 collegi di fatto vanificherà la scelta degli elettori nei 9 che non sceglierà, e dalla sua opzione, ancora una volta non dai cittadini, dipenderà l’elezione o meno di un deputato.

I partiti pongono il problema di tutelare un certo numero di dirigenti nazionali svincolati da legami territoriali.
Quest’esigenza c’è, ma la si tutela nella chiarezza, come avveniva con il Mattarellum, che attribuiva il 25% dei seggi attraverso listini bloccati, lasciando il 75 con le preferenze. E noi siamo per l’alternanza di genere nei listini, e con la doppia preferenza di genere, questo creerebbe un sistema virtuoso: lo proporremo con un emendamento, in subordine a un altro che chiede le preferenze per l’attribuzione della totalità dei seggi.

Renzi è avvertito?
Il nostro non è un avvertimento, ma un suggerimento. Leale e costruttivo. Se ci siamo posti il problema di ridare la parola ai cittadini, se abbiamo scartato i collegi uninominali dobbiamo evitare che le preferenze si rivelino un autogol, negate nei fatti dopo averle accordate. Lo dico a Renzi in maniera accorata. Questa crisi fra cittadini e istituzioni che non trova una via d’uscita non ci consente altri errori. Come primo partito, come partito di governo a maggior ragione, gli elettori non ce lo perdonerebbero.