Di: Gianluca Roselli

Sulla legge elettorale ci sono luci e ombre. Matteo Renzi fa bene a cercare l’intesa con l’opposizione. Ma non bisogna dare l’idea di deciderla solo con Forza Italia. Vannino Chiti, uno dei senatori ribelli del Pd in prima fila contro la riforma costituzionale, è pronto a dare battaglia anche sul sistema di voto. Ma la sua preoccupazione maggiore resta la legge costituzionale ferma alla Camera. “Io sul Senato elettivo non mollo”, avverte.

Senatore Chiti, come giudica l’ipotesi di legge elettorale in discussione tra Renzi e Berlusconi?
Apprezzo la soglia di sbarramento unica, spero bassa, e il premio di maggioranza che scatta oltre il 40 per cento. In questo modo si garantisce rappresentatività e governabilità. Poi pero mancano le preferenze. Le vorrei almeno per il 75 per cento degli eletti. Inoltre vanno tolte le pluricandidature.   Come   dice   il Professor Ainis, un candidato deve presentarsi in un solo collegio, altrimenti viene meno il rapporto con il territorio. E non è cosi che la politica riacquista fiducia agli occhi dei cittadini.

Secondo lei l’accelerazione sulla legge elettorale significa che Renzi vuole andare presto alle urne?
La riforma non è per forza il grimaldello per andare al voto. Si andrà alle urne quando in Parlamento non ci sarà più una maggioranza. Chi pensa il contrario deve stare attento a non scherzare col fuoco, perché la situazione economica e occupazionale è grave e ci vuole prudenza.

Renzi sul sistema di voto sembra procedere come sulla riforma costituzionale: prima mi accordo con Berlusconi e poi con gli altri.
Sarebbe un grave errore. Su questi temi il governo deve confrontarsi con tutte le opposizioni. Il rapporto con Forza Italia è importante, ma non deve essere esclusivo. In Parlamento ci sarà spazio per discutere anche con Sel e 5 Stelle.

La scorsa estate lei è stato uno dei più battaglieri contro la riforma costituzionale.
E non sono affatto pentito. Anzi, sono pronto a continuare la mia battaglia per evitare che l’elezione dei senatori diventi una mostruosità come il sistema che abbiamo visto per le Province. Un vero obbrobrio. La mia proposta era eleggere i senatori contestualmente al voto regionale. Se non sarà possibile, ne ho altre.

Ovvero?
Legare il numero dei senatori alle percentuali prese dai partiti alle Regionali al netto del premio di maggioranza; gruppi in Senato su base territoriale; la Camera che può modificare le leggi che escono da Palazzo Madama solo se si arriva alla stessa percentuale. Altrimenti il Senato diventa un semplice “parerificio” senza alcun potere. Poi occorre diminuire il numero dei deputati e cambiare il sistema delle immunità.

Il testo sulle riforme ora è arenato alla Camera.
A Montecitorio dovrà essere modificato. Altrimenti ci penseremo noi quando tornerà in Senato. Come le ho detto, sul Senato elettivo non mi arrendo.

La minoranza del Pd, dal Jobs act alla legge elettorale, ha ridato segnali di vita. Lei ci s’iscriverebbe?
Io non mi muovo su logiche correntizie, ma faccio battaglie sui contenuti. Detto questo, una minoranza forte e organizzata farebbe bene al Pd. Invece, forse per scarsa generosità dei protagonisti, è divisa e va in ordine sparso. Ma ci sono tanti elettori del Pd che non si riconoscono in Renzi e vorrebbero avere un punto di riferimento alternativo.

Nel frattempo si è aperta la partita anche per il Presidente della Repubblica.
Il toto nomi che sento in questi giorni mi sembra irrispettoso per Napolitano, che è ancora in carica e non ha ancora ufficialmente annunciato di voler lasciare.