“L’Islam italiano: la sfida del dialogo e della cittadinanza attiva”
Prima di tutto due ringraziamenti, non di circostanza. Alla Rivista “Confronti” per avermi invitato a questo incontro nella Giornata del dialogo islamico-cristiano. Ancor più a quanti organizzano ormai da tanti anni questa Giornata: la considero una buona semina, per far prevalere il rispetto reciproco, la tolleranza, un senso comune di cittadinanza, di responsabilità e di giustizia, che sono fondamenti della libertà e della democrazia.
Sono persuaso che il nostro sia un tempo di semina: non ci è dato di scegliere gli orizzonti che segnano i confini della nostra vita. Non sappiamo se potremo vedere anche il raccolto che verrà. Abbiamo però il compito, il dovere  di una buona semina, così che il raccolto – quando sarà il suo momento – sia abbondante.
Ormai sette anni fa – nel 2007 – si verificò un fatto importante: mi colpì molto ed ancora oggi lo considero un riferimento di grande valore.
138 autorità religiose musulmane inviarono una lettera al Papa e ai capi delle confessioni cristiane: una parola comune tra noi e voi, questo il titolo di quel documento.
La parola comune è quella che unisce Islam, Cristianesimo ed Ebraismo, le religioni che si riconoscono nella tradizione abramitica.
Il Corano li definisce “i popoli del libro”, in quanto sono uniti da una “parola comune”: non adorano “altri che Dio” e non associano a lui “cosa alcuna”.
Il fondamento è rappresentato dai due massimi comandamenti: ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze; amerai il tuo prossimo come te stesso.
Su questi comandamenti si regge un dialogo tra le religioni: sul secondo – l’amore per il prossimo – si fonda la possibilità di un impegno comune di credenti e non credenti, di fronte alle sfide che l’umanità deve affrontare.
Questa a me appare una possibile traduzione politica e civile di parole come Passione e Misericordia: non disinteressarsi degli altri, né del nostro comune ambiente di vita.
L’avvio di questo secolo ci colpisce per le ombre pesanti, alcune inattese, che sembrano talora circoscrivere le luci, cioè la speranza di un mondo migliore, più uguale e giusto.
Tanti e non sottovalutabili focolai di guerra dalla Siria all’Iraq, per restare vicini a noi; terrorismi spietati, barbari, che tentano di aumentare la loro disumana criminalità con i veli della religione, che invece offendono e tradiscono; minoranze di popolazione perseguitate, costrette ad abbandonare i luoghi nei quali vivevano.
Un’ economia che accentua le disuguaglianze nelle nazioni e tra i popoli, distruggendo al tempo stesso le risorse del nostro pianeta: 200 scienziati, incaricati dall’ONU di analizzare la salute del pianeta, ci dicono che se non cambia il nostro modello di sviluppo entro 10-15 anni, la Terra avrà subìto ferite irreversibili.
Donne, vecchi, bambini, profughi da aree di guerra, ancor più chi è immigrato perché sospinto da necessità di vita e lavoro, sono affrontati da movimenti reazionari in Occidente come invasori, senza un briciolo di solidarietà.
Queste sfide non devono suscitare in noi rassegnazione, ma sollecitare un impegno comune: quello dei credenti nelle diverse fedi religiose, di ogni persona che senta in sé stessa amore per l’umanità, gli esseri viventi, il nostro Pianeta.
Devono unirci la priorità rappresentata dalla persona, dalla sua dignità, da tutelare e promuovere ovunque; l’impegno perché i giovani, specie se appartenenti a minoranze, non si sentano estranei alla società, alle sue istituzioni, non siano spinti a rifugiarsi, di fronte al furto subito del loro futuro, nell’intolleranza, addirittura nel terrorismo; l’obiettivo di uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile; l’accoglienza di quanti, fuggendo dai conflitti, hanno intanto il diritto all’asilo e poi di ritornare alle loro case; il riconoscimento di un’uguaglianza di diritti e doveri – sociali, civili, politici – agli immigrati, ai loro figli, i nuovi cittadini italiani; l’affermazione di una cultura della non violenza, del rispetto, del dialogo – a cominciare dai nostri cuori – per testimoniare concretamente, non solo a parole, e realizzare il bene supremo della pace. Senza un dialogo tra le Religioni ed un’azione comune, queste sfide non saranno vinte: non solo non costruiremo la pace, ma verrà meno la coesione nelle nostre società, ormai pluraliste per fedi, culture, etnie.
Cristianesimo e Islam, per l’influenza che hanno nel mondo, devono sentire una particolare responsabilità di fronte all’umanità: il dialogo, l’impegno che sapranno sviluppare, contribuiranno non poco a determinare il nostro futuro.
Il governo in Italia si deve attivare per realizzare l’intesa anche con l’Islam, l’unica grande religione ancora esclusa dai rapporti con lo Stato previsti dall’articolo 8 della nostra Costituzione: la pluralità di interlocutori non può costituire un disimpegno della politica, del governo e  del Parlamento, meno che mai un alibi. Si tratta non solo di garantire diritti e libertà pieni per chi professa questo credo, aderendo compiutamente ai valori dello Stato di diritto, ma anche di un interesse del nostro paese, un’occasione per contribuire a rafforzare anche da noi, per i cittadini che si riferiscono a questa fede religiosa, radici italiane dell’Islam.
Questi, per me, i semi da coltivare in modo coerente, per i quali rinnovare e rafforzare un’iniziativa, da ribadire in un Patto di amicizia e collaborazione, che segna le giornate del dialogo cristiano-islamico.
La mia conclusione è allora un augurio per noi tutti, per la convivenza, la solidarietà e non solo nel nostro Paese. Riprendo l’immagine con la quale ho iniziato il mio intervento: “chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà” (Paolo di Tarso, seconda Lettera ai Corinzi – 9)
Impegniamoci allora perché la nostra semina sia ampia.
Grazie.