Inizia il percorso della Legge di Stabilità.
Il governo ha varato un Ddl che punta a contrastare la crisi economica e a consolidare la via intrapresa dal governo Letta: non più austerità fine a sé stessa ma rigore abbinato a interventi per il rilancio dell’economia. Sono previste misure per le imprese, con la cancellazione della parte di Irap legata alla forza lavoro, per l’occupazione, con la decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato, per i consumi di chi guadagna meno, confermando le detrazioni fino a 80 euro, per le famiglie, con un contributo nei primi tre anni per ogni nuovo nato.
Tuttavia, c’è un’altra faccia della medaglia che non convince e che dovrà essere modificata in Parlamento. Mi riferisco a quella parte delle coperture economiche per le misure “espansive” viene garantita con un taglio dei trasferimenti alle Regioni di ben 4 miliardi; altri 2,1 miliardi vengono tagliati ai comuni e 1 miliardo alle province. Sono cifre insostenibili che si tramuterebbero in molti casi in taglio dei servizi – Sanità, trasporto pubblico, scuole e asili, assistenza pubblica – o in aumento di tasse locali. È vero quello che dice Renzi: anche nelle Regioni e nei comuni si annidano ancora sprechi che debbono essere colpiti. Ma la spending review – a proposito, forse si poteva attingere di più dal lavoro di Cottarelli – è un processo che va sviluppato con continuità e produce risultati nel corso di mesi e anche anni. Enti e poltrone inutili, inefficienze organizzative e pagamenti eccessivi non si possono cancellare con un tratto di penna a decorrere dal 1 gennaio. Invece, il tratto di penna della Legge di Stabilità cancella le risorse a partire da quella data.
In questo quadro l’incontro tra il governo e le Regioni è stato costruttivo. Mi auguro che ne nascano obiettivi sostenibili che tengano insieme l’efficienza e l’attenzione all’equità.
Destano perplessità anche la possibilità concessa ai lavoratori di incassare il Tfr in busta paga anziché a fine contratto e l’aumento di tassazione sui fondi pensione. Il trattamento di fine rapporto è sottoposto ad un’aliquota agevolata: se invece si cumula allo stipendio verrà sottoposto all’imposizione Irpef ordinaria: una beffa. Inoltre, a partire dalla riforma delle pensioni del 1995, e con le successive, lo Stato ha stipulato un patto con i cittadini: si va in pensione più tardi e con assegni più bassi, ma verranno agevolate le forme di previdenza integrativa, con incentivi fiscali e la possibilità di destinarvi il Tfr. Con le nuove norme verrebbe meno il primo impegno e si minerebbe la solidità del secondo. Non possiamo creare le condizioni per nuove incertezze e pensioni da fame.