Il dialogo interparlamentare tra Parlamento europeo, Parlamento nazionale e assemblee regionali per rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni quali attori complementari e non concorrenti

1.    Una premessa di ordine generale: viviamo una situazione di difficoltà e perdita di fiducia nell’U.E. Sono state varate politiche sbagliate per aggredire la crisi economica: l’austerità senza sviluppo non assicura il risanamento e impoverisce milioni di persone. Dobbiamo cambiare noi stessi, rilanciare e migliorare l’Europa. Non siamo ancora una organizzazione federale e siamo lontani da questa prospettiva: di fronte a scelte di austerità volute e difese innanzi tutto dalla Germania, ancora in questi giorni avviene, come nel caso della Francia, che da singoli paesi giungano azioni unilaterali per non rispettare questi dettami. Invece, dobbiamo costruire regole più avanzate per un governo democratico sovranazionale su: Politica estera e di sicurezza; sfide del clima e dell’ambiente; misure “macro economiche” per lo sviluppo; solidarietà, unione fiscale.
L’Italia è un paese fondatore e deve svolgere il ruolo da protagonista che le compete: contribuire a compiere i passi necessari per la costruzione di una vera democrazia sovranazionale: gli Stati Uniti d’Europa. È una sfida che dobbiamo vincere e l’unica risposta possibile sul piano politico-istituzionale ai moti di antieuropeismo e al proliferare delle formazioni reazionarie e antidemocratiche. Nessuno stato europeo, da solo, sarà un protagonista nel XXI secolo. Potrà esserlo l’Unione Europea se diventerà un soggetto unitario autorevole.
È importante anche mantenere una forte connessione tra le riforme delle istituzioni europee e le questioni economiche e sociali: la crisi, l’emergenza dell’occupazione, lo sviluppo, il welfare.
La Riforma democratica delle istituzioni europee deve procedere in due direzioni.
2.    Per un verso bisogna puntare, nel medio periodo, ad avvicinare gli organi decisionali ai cittadini: la Commissione dovrà essere il governo federale, e non più un comitato burocratico, avere competenza sulla politica estera, di sicurezza, sulle questioni di macro economia, e il suo presidente ora indicato, a “regime” dovrà essere eletto direttamente dagli europei; il Parlamento europeo dovrà essere eletto con un’unica legge su base europea ed assumere i poteri di indirizzo e soprattutto di controllo, che sono stati propri dei Parlamenti all’interno dei diversi Stati nei momenti all’apice delle democrazie nazionali; il Consiglio europeo dovrà trasformarsi nel Senato dell’Unione, avere una competenza principale sul bilancio e l’ingresso di nuovi Stati.
Un primo passo importante nella direzione della democrazia sovranazionale si è avuto con le elezioni europee: per la prima volta, il presidente della Commissione è stato scelto anche alla luce dell’esito delle elezioni e quindi delle indicazioni dei cittadini. I partiti appartenenti al Ppe hanno avuto più seggi in Parlamento e Juncker – il candidato popolare – è stato designato come presidente.
3.    Per altro verso, bisogna proseguire sulla strada intrapresa con il rafforzamento dei rapporti di collaborazione tra gli organi dell’Unione, quelli nazionali e quelli delle Regioni e della Autonomie Locali. In questo ambito rivestono particolare importanza le prassi introdotte ultimi anni. Far vivere e non solo affermare la «sussidiarietà».
La sussidiarietà è l’impostazione politico-culturale fondamentale per realizzare una democrazia sovranazionale europea: non si può seguire la strada di un supercentralismo o di una omogeneità culturale. È anche, ma non può essere soltanto, procedura: Società/Comuni/Regioni/Parlamento e Istituzioni europee. Dicevo che è una impostazione culturale e politica; è da affermare progressivamente nel rapporto tra cittadini e istituzioni.
La consapevolezza, sempre più diffusa, di far parte di un ordinamento giuridico composito è oramai patrimonio acquisito.
Un punto che mi pare importante sottolineare riguarda il ruolo particolarmente significativo del Parlamento italiano per quanto concerne il processo di partecipazione alle procedure europee di verifica del principio di sussidiarietà e del dialogo politico, soprattutto successivamente all’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Il Senato,  da alcuni anni, è stabilmente la seconda Camera per attività nelle questioni europee tra le 41 Camere dell’Unione. Il nostro lavoro non si limita alla verifica del rispetto del principio di sussidiarietà ma si arricchisce di osservazioni di merito. C’è da migliorare e rendere stabile il confronto con le commissioni del Parlamento europeo.
È chiaro che la partecipazione dei parlamenti nazionali e delle assemblee regionali contribuisce non poco a migliorare la democraticità del procedimento legislativo europeo e la consapevolezza dei parlamentari sulla dimensione necessariamente sovranazionale in cui sono inserite le deliberazioni che assumono sul piano interno.
E proprio tenendo conto di questi aspetti, è a mio avviso sbagliato che nel testo di riforma costituzionale che supera il bicameralismo paritario non si tengano in sufficiente considerazione i processi europei in atto, proprio per quanto riguarda la strutturazione di un “sistema parlamentare euro-nazionale”. Questo è l’obiettivo immediato da consolidare.
L’integrazione degli ordinamenti europei, in atto da decenni, è oggetto di una forte accelerazione con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e delle procedure che regolano la nuova governance economica dell’Unione, adottate quale risposta politica alla crisi. Il Trattato di Lisbona, per la prima volta nella storia dei trattati europei, ha attribuito ai parlamenti nazionali un ruolo preciso nel procedimento di formazione della legislazione dell’Unione ed ha loro conferito altri poteri.
Si rompe quindi quel circuito di separatezza tra attività nazionali ed europee dei parlamenti nazionali. Oggi è possibile una connessione virtuosa tra i vari procedimenti legislativi attraverso il raccordo attivo derivante dall’inclusione degli stessi parlamenti nazionali nel circuito decisionale europeo.
Il principale potere dei parlamenti nazionali è costituito dal controllo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, ma anche altri articoli dei trattati prevedono interventi diretti dei parlamenti.
Tra questi, meritano una segnalazione particolare quelli sulla partecipazione ai processi di revisione dei trattati.
Tutti questi poteri sono stati integralmente “recepiti” nella normativa interna con una delle riforme principali della scorsa legislatura, quale è stata la legge 24 dicembre 2012, n. 234.
Merita una sottolineatura la cosiddetta “cooperazione interparlamentare”. Come ben noto, essa consiste in quei raccordi verticali e orizzontali tra le varie Camere europee che fungono da articolazione necessaria del sistema parlamentare euro-nazionale, decisivo per il buon funzionamento e per gli equilibri futuri della democrazia europea. La base giuridica di tale cooperazione è costituita dalla lettera f) dell’articolo 12 del trattato sull’Unione europea e dagli articoli 9 e 10 del protocollo n. 1 allegato ai trattati.
La cooperazione tra parlamenti ha già portato a due risultati concreti: l’accelerazione del già visto processo di europeizzazione dei parlamenti nazionali e la realizzazione di un sistema parlamentare europeo.
Il controllo e la legittimazione democratica degli assetti europei in via di definizione richiedono, quindi, una partecipazione politica forte sia del Parlamento europeo che dei parlamenti nazionali e la strada disegnata dal trattato di Lisbona è quella della dimensione parlamentare europea.
In tal senso, noi abbiamo già tre validi esempi di cooperazione interparlamentare: la COSAC, di cui in questi mesi abbiamo la presidenza in coincidenza con il semestre di guida italiana dell’Unione europea, la Conferenza sulla PESC e PESD e la Conferenza dell’articolo 13 del Fiscal Compact.
In merito all’organizzazione delle Camere dei parlamenti nazionali connessi alla cooperazione interparlamentare, ricordo la proposta di modificazione del Regolamento del Senato, formulata da tutti i membri della 14ª Commissione e ispirata ad un’analoga disposizione del regolamento del Bundestag: si vuole permettere che “specifici membri” italiani del Parlamento europeo partecipino ai lavori della Commissione, proponendo argomenti da inserire all’ordine del giorno, riferendo sulla propria attività al Parlamento europeo e formulando osservazioni con riguardo alle deliberazioni della Commissione. In tal modo si è intesa segnalare l’esigenza di uno stretto raccordo tra i membri italiani del Parlamento europeo e i componenti della 14ª Commissione, nella prospettiva di una più costante interlocuzione sulle differenti fasi della produzione normativa.
Sono convinto del fatto che l’intreccio tra le varie procedure permetterà anche a noi parlamentari nazionali – per quanto di competenza, ovviamente – di partecipare direttamente alle grandi politiche europee e di attenuare quel difetto di connessione tra la dimensione europea e quella nazionale che solamente attraverso la mediazione della rappresentanza politica a livello parlamentare può avere quel salto democratico necessario a sanare antichi pregiudizi e far compiere un passo decisivo verso forme di integrazione sempre più strette.
Certo è che la spinta pressante delle crisi degli ultimi anni ha avuto quale effetto principale un’integrazione degli ordinamenti europei quale mai avremmo avuto senza di essa.
Non so se andremo verso un governo parlamentare euro-nazionale. Sono convinto invece del fatto che occorra uno sforzo di connessione tra una teoria generale dello Stato (che è il nuovo inedito Stato comunitario a sovranità autolimitata) e una teoria economica di uscita dalla crisi. Questi due aspetti però necessitano di un momento di riflessione e di coordinamento che spero si possa fare in un nuovo scenario politico, meno ispirato dalle emergenze e più attento a riannodare il filo del processo di integrazione dando risposte politiche forti alle tensioni sociali che hanno costellato la vita di questi ultimi anni.
4.    L’articolo 5 del Trattato sull’Unione europea fornisce una definizione del principio di sussidiarietà che tiene conto delle autonomie locali e regionali. Perché l’Unione intervenga nelle materie che non sono oggetto di sua competenza esclusiva, è necessario valutare che gli obiettivi dell’azione prevista non siano sufficientemente realizzati né a livello statale né a livello regionale o locale. L’articolo 6 del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità afferma che «spetta a ciascun Parlamento nazionale o a ciascuna Camera consultare all’occorrenza i Parlamenti regionali con poteri legislativi». [ (Nota di Chiti per paragrafo in neretto) Non livello sufficiente di cooperazione] Ad oggi, peraltro, il coinvolgimento di questi ultimi da parte delle Assemblee nazionali, che procedono ormai sistematicamente all’esame degli atti dell’Unione europea, non è stato ancora attivato su basi sistematiche, anche se un approccio volontaristico sta portando ad una crescita sensibile dell’interesse e delle pronunce. Le Assemblee regionali hanno incrementato notevolmente il numero di deliberazioni che trasmettono alle Camere relative al processo decisionale europeo. Soprattutto dall’entrare in vigore del Trattato di Lisbona, sono state numerose le deliberazioni delle Assemblee e anche delle Giunte trasmesse al Parlamento. Nella XVI legislatura sono state in tutto 141 e la metà di esse sono riferibili a materie “europee”.
È del tutto evidente il cambio di prospettiva e l’esigenza di un pieno inserimento delle Assemblee regionali nel processo di formazione della posizione delle Camere in sede europea. Il dialogo sta iniziando e – come auspicato dalla stessa Commissione – sta andando ben oltre la verifica del rispetto del principio di sussidiarietà, estendendosi a valutazioni di merito legislativo. Il che pone il Parlamento nella auspicata prospettiva di contribuire «attivamente al buon funzionamento dell’Unione», come recita l’art. 12 del trattato sull’Unione europea.
Un raccordo costante tra Regioni e Parlamento permette di arricchire e rafforzare la posizione dell’Italia nel contesto europeo e quindi di avere la rappresentazione rapida di tutti gli interessi in campo. Fare «Sistema Paese»
Le linee di attuazione dell’articolo 6 del Protocollo devono essere definite attraverso la strutturazione di un modello di consultazione e cooperazione tra il Senato e le Assemblee legislative regionali. Un’opzione è quella di costruire un dialogo aperto tra le Assemblee e le competenti Commissioni del Senato che dovranno poi interloquire con le istituzioni europee. In tal modo, i singoli pareri resi dalle Assemblee legislative regionali contribuiranno a costituire una base utilizzata per le decisioni delle Commissioni del Senato.
Resta da chiarire se le Assemblee legislative regionali saranno consultate solo previa richiesta delle Commissioni competenti ovvero – come a mio avviso è più giusto – se le Assemblee, autonomamente o per il tramite della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali, potranno far pervenire le proprie osservazioni sui progetti di atti legislativi dell’Unione indipendentemente dall’inizio dell’esame da parte degli organi del Senato. Questa ipotesi va sicuramente nella direzione del necessario rafforzamento della collaborazione tra le assemblee nazionali e quelle regionali.
La Commissione Politiche dell’U.E. ha costituito una 3ª sottocommissione al suo interno per i rapporti con le Assemblee Regionali: è presieduta dal sen. Floris.  Voglio sottolineare un passo avanti importante compiuto nei giorni scorsi: il 24 settembre scorso, la Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato ha approvato all’unanimità, la Risoluzione sulla collaborazione sui temi europei  con la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.
Ringrazio il Presidente Cattaneo per aver proposto e sollecitato questa collaborazione, concordando di porla su basi anche formali, come si deve tra istituzioni. La risoluzione è frutto di un confronto approfondito portato avanti con il presidente del Consiglio regionale della Lombardia, Raffaele Cattaneo e con la segretaria della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali, che ricopre anche l’incarico di delegato per gli affari europei in seno alla Conferenza.
È un accordo importante e significativo, che va incontro alla necessità di una collaborazione sistemica tra Senato e Assemblee regionali sui temi dell’UE, delle sue politiche per lo sviluppo, della sussidiarietà.
Con questa iniziativa si intende instaurare un confronto diretto e periodico sui principali dossier europei con le Assemblee regionali, così come si dovrà continuare a fare con gli eurodeputati italiani. L’Italia deve impegnarsi e pesare di più sulle scelte che l’Unione è chiamata a compiere.
Ultimo punto: collaborazione con i parlamentari europei eletti in Italia.