La crisi finanziaria, economica e sociale; l’aumento della disoccupazione; il malcontento per i passi indietro da traguardi di benessere e servizi sociali raggiunti; la distanza tra le istituzioni e i cittadini hanno creato all’interno dell’Unione Europea un clima che favorisce il proliferare di forze politiche e di idee estremiste, discriminatorie, razziste, antieuropeiste.
È il pericolo dei populismi in Europa. Il malcontento e le sofferenze dei cittadini vengono strumentalizzati e cavalcati per raccogliere consenso a favore di idee che nella migliore delle ipotesi si rivelano un retaggio di un passato che non esiste più, nella peggiore prefigurano scenari catastrofici per le nostre società.
A determinare questo quadro di sofferenza in Europa, ha contribuito l’ultimo indirizzo politico imposto dalle destre sull’onda di un ventennio di neoliberismo imperante: l’austerity come unica risposta alla crisi finanziaria. Il rigore a senso unico ha aggravato la condizione di milioni di persone e non ha nemmeno consentito di raggiungere gli obiettivi di risanamento.
Se l’UE consolida la sua immagine di sovrastruttura burocratica dedita solo alla politica monetaria e a “imporre” obblighi di bilancio ai paesi membri, mortifica il significato della sua stessa esistenza. Oltre 26 milioni di disoccupati e tutti i cittadini si aspettano dalle istituzioni europee soluzioni moderne per il lavoro, i servizi, la formazione, la mobilità, l’innovazione.
Il rischio che corriamo è quello di arrivare a un punto di non ritorno: un’affermazione forte e di un dilagare dei populismi. Delle forze euroscettiche, reazionarie, contrarie alla democrazia rappresentativa, fondate esclusivamente su leadership personali ed effimere. Queste formazioni stanno già proliferando in diversi paesi. In Grecia, Alba dorata; nel Regno Unito il Partito per l’indipendenza; in Finlandia, Veri Finlandesi; nei Paesi Bassi, il Partito per la libertà; in Ungheria, l’Unione civica ungherese, al governo con il primo ministro Viktor Orban, e Jobbik (il movimento per un’Ungheria migliore), ancora più a destra e sostenitore dell’uscita dall’Unione Europea; in Francia, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, che alcuni sondaggi in vista delle elezioni europee accreditano intorno al 25%, primo partito in Francia; in Germania, Alternativa per la Germania, più moderato, ma contrario all’euro e a una maggiore integrazione europea; in Austria, Team Stronach per l’Austria, un partito personale, conservatore e populista, anch’esso contrario all’euro; in Italia, contrari alla moneta unica e all’integrazione in Europa, Lega Nord e Movimento Cinque Stelle.
Nel Parlamento europeo sono già presenti partiti di orientamento xenofobo e anti-europeo.
Alcuni movimenti, come in Italia Casa Pound – non a caso presa ad esempio da organizzazioni estremiste europee – escono dai confini tradizionali della destra radicale ed assumono temi propri anche della sinistra, come quelli del welfare, della critica del capitalismo, della giustizia sociale.
Un’altra novità, tanto rilevante sul piano politico quanto inquietante per il futuro della nostra democrazia, è la neonata alleanza siglata tra la Lega Nord e il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. In un vertice a Strasburgo il segretario Salvini ha messo a punto con Le Pen una strategia comune in vista delle elezioni europee e delle battaglie da intraprendere nel nuovo Parlamento europeo. È un’altra prova del fatto che le sofferenze sociali e i malumori dei cittadini per le difficoltà che viviamo nell’Unione Europea sono terreno fertile per queste derive populiste. La Lega Nord, che è sempre stata e rimarrà una forza avversaria dei progressisti, in passato poneva questioni su cui sono stati trovati occasionali, seppur deboli, punti di convergenza: mi riferisco al tema dell’organizzazione federale del nostro paese. Laddove non si trascendeva nella vuota e insostenibile rivendicazione autonomista, la battaglia della Lega per il federalismo meritava attenzione. Oggi invece la Lega si pone su posizioni inaccettabili e esclusivamente distruttive.

Il significato, i valori dell’Europa
L’Europa unita in una convivenza pacifica e senza frontiere è un sogno diventato realtà tra la metà e la fine del secolo scorso. Dopo secoli di guerre intestine, oggi sembra quasi un dato scontato il fatto che non sia nemmeno ipotizzabile una guerra tra Francia e Germania, per fare un esempio.
L’Unione Europea, dopo il 1989, ha fatto del suo allargamento la via per il consolidamento delle democrazia e, di nuovo, per la costruzione della pace nel continente. È questa la ragione dell’ingresso nell’Unione, in tempi rapidi, delle nazioni dell’est europeo, a lungo soggette ad una sovranità limitata, e di quelle dei Balcani – prima la Slovenia, ora la Croazia e prossimamente la Serbia con cui sono in corso le trattative – protagoniste dell’ultima, grande, tragedia di guerra nel nostro continente. Al tempo stesso, fino agli anni della crisi, l’Europa ha conosciuto una fase di complessivo benessere e di sviluppo anche di aree territoriali che ne rappresentavano le regioni più periferiche.
Abbiamo il dovere di far vivere nel presente la memoria e la consapevolezza che l’Unione Europea, costruita su valori fondamentali, non revocabili, quali la libertà, il pluralismo culturale e religioso, lo Stato di diritto, la democrazia, l’economia sociale di mercato, è una conquista senza precedenti.

Costruire gli Stati Uniti d’Europa
Abbiamo bisogno di un rinnovato spirito costituente per trasformare l’attuale Unione Europea in una vera organizzazione federale: gli Stati Uniti d’Europa. Si tratta di compiere i passi necessari per completare il percorso nato ormai più di 60 anni fa.
Abbiamo creato una convivenza pacifica tra i nostri popoli, abbiamo abbattuto le frontiere fisiche e immateriali, abbiamo coniato una moneta unica ma non abbiamo ancora un sufficiente livello di integrazione nella politica economica, in quella fiscale e perfino in quella estera: è sotto i nostri occhi la scarsa efficacia di 28 diverse politiche estere e di sicurezza, tante quanti sono gli Stati dell’Unione.
L’integrazione sul piano politico è essenziale per vincere le sfide del terzo millennio: nessun paese da solo può essere protagonista da solo nel mondo globalizzato, sia esso la Germania o la Grecia. Nel 2030 nessun paese europeo sarà tra nel G8, il gruppo dei più sviluppati del mondo. Può e deve esserlo invece l’Unione Europea, a patto che l’integrazione riprenda con il ritmo e il vigore che non conosce più da molto tempo. Oggi l’Europa è un nano politico.
Dobbiamo dare nuovo vigore a quei valori assicurando ai cittadini europei una convivenza fondata sulla solidarietà e l’equità, il benessere diffuso, l’insieme irrinunciabile di diritti e doveri. L’Europa deve essere la patria del progresso.

La risposta ai populismi
1) Riforme istituzionali
A livello istituzionale, voglio sottolineare un aspetto importante che segna un passo in avanti significativo nel percorso di integrazione: per la prima volta, il Parlamento europeo che si insedierà a maggio del 2014 eleggerà il Presidente della Commissione Europea. Le famiglie politiche europee si presenteranno agli elettori non solo con un programma comune, ma con un candidato condiviso alla Presidenza della Commissione: il voto dei cittadini avrà un peso nell’indirizzare questa scelta. È una novità importante.
L’Europa non più a 15 Stati, richiede altri, più efficaci e democratici processi decisionali. Sono riforme che dovevano essere assunte negli anni scorsi, già quando negli anni 90 è stato intrapreso il percorso di integrazione economica e monetaria.
Molti altri passi dovranno essere compiuti e purtroppo le premesse non sono positive: i veti e gli egoismi nazionali sembrano ancora prevalere.
Proprio il primeggiare della mediazione tra diversi interessi nazionali è il principale ostacolo a una piena integrazione. È quel metodo intergovernativo che è tornato a caratterizzare l’assunzione delle principali decisioni a livello continentale.
È dovuta anche a questa irriducibile tentazione e illusione degli Stati nazione di sopravvivere alla propria crisi, guardando al passato anziché al futuro europeo, se il Trattato di Lisbona – già in se frutto di un compromesso al ribasso – è stato svuotato nella pratica concreta.
L’Unione Europea – come sottolineava l’ex cancelliere Kohl – è una istituzione inedita, un mix di confederazione e federalismo, non rintracciabile nei Trattati di dottrina costituzionale.
Abbiamo la responsabilità di costruire una democrazia sovranazionale inedita nella sua organizzazione: la commissione dovrà essere il governo federale, non una sorta di comitato tecnico-esecutivo, avere competenza sulla politica estera, di sicurezza, sulle questioni di macro economia, e il suo presidente eletto direttamente dagli europei; il Parlamento dovrà essere eletto con un’unica legge su base europea ed assumere i poteri di indirizzo e soprattutto di controllo, che erano propri dei Parlamenti all’interno dei diversi Stati, al culmine delle esperienze nazionali di vita democratica; l’attuale Consiglio europeo, formato oggi dai capi di Stato o di governo, dovrà trasformarsi nel Senato dell’Unione, avere una competenza principale sul bilancio e l’ingresso di nuovi Stati; le città nell’Unione devono poter esprimere le loro potenzialità, godendo di ampie autonomie e responsabilità.

2) i socialisti europei e Schulz
Se la risposta sul piano delle riforme istituzionale prefigura un cammino non facile e inevitabilmente costruito per tappe, la risposta politica può arrivare dalle elezioni europee di maggio. Come detto in precedenza, per la prima volta non andremo a votare solo per scegliere i parlamentari europei ma anche per indicare il nuovo presidente della Commissione Europea, l’organo che condivide i poteri di governo con il Consiglio.
Bisogna invertire la linea politica: superare il rigore a senso unico e aprire una stagione di azioni indirizzate allo sviluppo, alla creazione di lavoro, all’innovazione, agli investimenti. Nella seconda parte del 2013, anche grazie al contributo del governo italiano, si è registrata una prima inversione di tendenza. Anche i paesi più ortodossi hanno capito che questi anni di austerity hanno solo aggravato i nostri problemi.
I progressisti hanno scelto una leadership autorevole e competente: Martin Schulz è il nostro candidato. A maggio è in gioco una scelta di campo che può essere determinante per i prossimi 5 anni.

Semestre
L’Italia torna a esercitare la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea dopo 10 anni. La prossima volta verrà fra 14 anni. È bene quindi valorizzare al meglio questa opportunità di leadership per il nostro paese. In particolare, è necessario che negli orientamenti delle forze politiche il semestre rivesta il rilievo dovuto: chi ha voglia speculare a fini di consenso elettorale, dovrebbe tenere bene in mente l’esigenza di preparare questo importante. È importante inoltre che il confronto sul futuro dell’Unione Europea e sul ruolo dell’Italia nel semestre della sua Presidenza esca dai confini della politica e sia posto  all’attenzione della più vasta opinione pubblica.
Per l’Italia la Presidenza sarà un’occasione per rilanciare la sua funzione, svolgendo con l’efficacia di uno dei paesi fondatori il compito di contribuire a ridare slancio all’Unione europea.
Le riforme istituzionali, il ruolo di leadership mondiale per la diffusione della pace e del benessere, nuove politiche economiche e sociali sono i compiti che l’Unione Europea deve darsi per i prossimi anni. Nel definire il consenso necessario ad intraprendere questa strada, le sue tappe e i suoi tempi, avrà un compito importante l’Italia nel suo turno di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea da luglio a dicembre del 2014: in quei sei mesi, successivi alle elezioni che rinnovano il Parlamento, si imposteranno molte delle decisioni che segneranno, in termini di riforme, la legislatura. È un percorso non scontato, in gran parte da costruire: condizione non secondaria del suo successo sarà anche la volontà di realizzarlo degli Stati nazionali. L’alternativa è la scomparsa dell’Europa tra i protagonisti del XXI secolo. Per questo sarà bene che l’Italia ponga nel suo semestre di Presidenza questi grandi obiettivi. Senza un grande progetto politico l’Unione Europea si negherebbe l’ambizione del futuro.