1)Desidero ringraziare la Presidente per l’invito rivoltomi e rivolgere un saluto a tutti coloro che hanno preso parte alla 64/a “Giornata delle vittime degli incidenti sul Lavoro”. È doveroso, ricordare le persone che perdono la vita o subiscono incidenti sul luogo di lavoro. Celebrare degnamente questa giornata vuol dire, prima di tutto, non dimenticarli, non lasciarli al solo, prezioso, affetto dei familiari. Vorrei rivolgere un particolare ringraziamento all’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro che si batte da decenni per i diritti di giustizia, dignità che devono essere fatti propri da una società realmente avanzata e civile. L’articolo 4 della Costituzione italiana sancisce che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, altri fondamentali diritti civili e sociali, e promuove le condizioni che rendano effettivi i diritti che fondano l’uguaglianza tra i cittadini. Rendere effettivo il diritto al lavoro significa anche far sì che lavorare sia una attività che viene svolta in piena sicurezza, nel rispetto della dignità di ogni persona. La prevenzione degli incidenti sul posto di lavoro e il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini sono elementi sostanziali per una società in cui la democrazia non si limiti solo a norme e forme (pur essenziali, non certo sufficienti). Compito nostro è quello di continuare a condividere questi valori, non solo in questa giornata, che pure è importante, ma nella vita quotidiana, tra di noi, affermarli tra i cittadini, vorrei dire nello stesso senso comune. Lo Stato deve vigilare e pretendere la sicurezza in ogni posto di lavoro, perché gli incidenti siano delle tragiche coincidenze e non errori dovuti a superficialità, non curanza, forme di vessazione, mancanza di formazione. In un momento politico delicato, in cui si discute di riforma del lavoro e di estensione delle tutele per i lavoratori, che oggi non le hanno, in cui l’occupazione è tornata ad essere la questione cruciale per le giovani generazioni non possiamo e non dobbiamo dimenticare quanti per il lavoro hanno perso la vita, lasciando spesso famiglie e figli, quanti sono rimasti menomati per incidenti che potevano essere scongiurati. Per questi motivi esprimo la mia piena condivisione per la missione dell’Anmil che si impegna affinché i valori del lavoro, i diritti di chi lavora, siano centrali nella vita quotidiana delle istituzioni e dei cittadini.

2) I DATI

Ormai da diversi anni la tendenza è quella di una diminuzione sia degli infortuni che delle morti sul lavoro. Dal 2009 al 2013 siamo passati da 790 mila infortuni e 1050 morti a 605 mila infortuni e 719 decessi. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering, da gennaio a luglio 2014 sono avvenuti 431 incidenti mortali, il 2,5% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sono dati positivi su cui però è importante fare due sottolineature: nemmeno un infortunio o una morte possono essere accettati con sufficienza e tranquillità. Non si è di fronte a numeri ma a persone. Lo ripeto: una cosa sono le fatalità che non possiamo controllare, altro rinunciare a tenere sempre più alta l’asticella della sicurezza. Il nostro metodo deve essere quello di tentare di scongiurare ogni episodio. In secondo luogo, non possiamo ignorare la crisi economica e il ruolo che ha avuto. In questi anni è diminuito fortemente il numero di persone occupate, vi è stata una riduzione di attività. Almeno una parte di questo miglioramento nei dati sugli incidenti è dovuto al fatto che meno gente ha l’opportunità di lavorare con continuità. Inoltre, bisogna avere presente la tendenza diffusa, nei casi più lievi, a non presentare denuncia di infortunio per evitare che l’azienda debba poi sostenere un aumento del premio assicurativo. I lavoratori sono spinti ad assecondare questa omissione dal timore di perdere il posto. Vi è poi un capitolo a parte: i lavoratori in nero. Sono uomini, donne e giovani, fantasmi per la nostra società, che rappresentano invece una parte importante della nostra economia e che non vengono mai menzionati in questi conteggi. Il 13,9% delle persone che hanno perso la vita nei primi 7 mesi del 2014 era di nazionalità straniera. Un numero destinato ad aumentare se potessimo conteggiare anche quelli che lavoravano in nero. TOSCANA L’andamento dei dati sulle morti bianche in Toscana segna una tendenza in parte diversa rispetto a quella nazionale. Anche nella nostra regione dal 2009 a oggi il numero di persone cadute sul lavoro è diminuito, ma dal 2010 al 2013 il dato è rimasto sostanzialmente lo stesso. Ogni anno in 55-60 casi l’incidente si trasforma in tragedia.

3) IL NOSTRO COMPITO

La sicurezza sul lavoro è un tema che deve essere sempre in testa alle priorità del governo e del Parlamento. Non serve varare nuove leggi, ma migliorare l’attuazione di quelle esistenti e farle rispettare. Circa 20 decreti attuativi dal 2008 – ormai ben 6 anni fa – attendono di essere emanati. È necessario per dare piena attuazione al Testo Unico sulla Sicurezza. Inoltre, è urgente mettere in campo i 5 milioni di euro previsti dal Testo Unico per investimenti in iniziative di prevenzione. A settembre, finalmente, al Senato si è insediata la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, che ha il fondamentale compito di verificare lo stato della sicurezza sul lavoro e riferire alle Camere per valutare i provvedimenti e gli interventi da assumere. E’ importante che la commissione lavori a pieno regime e che la Camera e il Senato tengano in debita considerazione i risultati della commissione. Un aspetto è urgente, dal punto di vista della giustizia: occorre rivedere, come chiede a gran voce l’Anmil, la riforma dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) che attualmente annovera nella ricchezza della famiglia anche i trattamenti assistenziali e le indennità dovute a incidenti e menomazioni sul lavoro. È superfluo dire che è assurdo considerare la disabilità e i sostegni come una fonte di ricchezza per il nucleo familiare e non invece un risarcimento per aiutare nella vita chi ha subìto delle menomazioni. Resta a livelli drammatici il problema del reinserimento lavorativo delle persone infortunate sul lavoro, che spesso vengono licenziate proprio a causa della ridotta capacità lavorativa. Servono cambiamenti culturali e nuovi investimenti nella formazione e nella riqualificazione professionale. Le persone, nessuna persona, deve essere considerata come un peso per la società: ognuno, se messo in condizione di valorizzare le proprie capacità e attitudini, è una vera e propria risorsa.

4) WELFARE

Il welfare, lo stato sociale, è elemento portante di una comunità solidale e giusta. Sostenere i più deboli, i ceti maggiormente svantaggiati e assicurare a tutti i cittadini il diritto all’istruzione, all’assistenza sanitaria, all’accesso al lavoro è un dovere della democrazia, così come l’intendono e vogliono farla vivere le forze progressiste. Per noi, nella società, donne e uomini devono avere una uguaglianza che consenta di cogliere le opportunità di vita. Istruzione, formazione, salute sono decisivi: in essi non può prevalere il mercato ma la giustizia. L’economia è mossa dal mercato, ma non può esserci per noi una società di mercato, nella quale chi a causa dell’età, di menomazioni, non è in grado di produrre diventa l’inetta – come dice con forza Papa Francesco – uno scarto da rottamare. In Europa si è affermato in particolare a partire dal secondo dopoguerra, un modello di Economia Sociale di Mercato, che si pone l’obiettivo di tenere insieme libero mercato e giustizia sociale. La logica del mercato, la libertà di impresa sono importanti ma da sole non garantiscono la realizzazione di una società più giusta, né che la ricchezza sia redistribuita più equamente tra le persone. Senza welfare e senza un ruolo di indirizzo della politica in democrazia, non può funzionare una economia sociale di mercato: questa è la visione, il progetto che si deve avere riguardo alla società. Si colloca qui il ruolo dello Stato, che deve intervenire per colmare i vuoti e eliminare le disparità che il mercato determina. Oggi la democrazia europea e il suo sistema di welfare devono affrontare la sfida della crisi economica, il rischio di un complessivo arretramento. Meglio: di fronte all’attacco neo-liberista che ha guidato la prima fase della globalizzazione, causando la grave crisi che ci colpisce, oggi le stesse forze responsabili del disastro tentano di imporre una via d’uscita colpendo diritti e strumenti di uguaglianza come il welfare. Bisogna invece cambiare strada: l’austerità fine a se tessa porta nel baratro. Distrugge le persone, le prospettive di vita, scava abissi di disuguaglianze; non risana neppure i bilanci, dal momento che accentua il crollo delle attività economiche.

CONCLUSIONI

Un’attenzione quotidiana, fatta anche di piccoli accorgimenti e una maggiore attenzione da parte di tutti i soggetti responsabili, possono salvare la vita di tante persone. Spesso la formazione del lavoratore viene vista come un peso e un costo. È una visione cieca, perché una maggiore tutela e una giusta formazione diminuirebbero il rischio di infortuni e gli stessi costi da sostenere dopo. Il lavoratore, da parte sua, deve sentire come dovere, prima di tutto verso se stesso, la tutela della sua incolumità. Deve pretendere una formazione adeguata, in presenza di rapidi cambiamenti delle tecnologie; disporre, con le sue rappresentanze sindacali, di un controllo sulla salubrità e sicurezza nei luoghi di lavoro. I cittadini – tutti noi – dobbiamo avvertire l’importanza di tutelare la sicurezza nelle aziende e non solo turbarci quando la non salubrità esce dalle fabbriche e investe gli stessi luoghi nei quali abitiamo. La vita non ha prezzo: non c’è lavoro o compenso che possa ripagare la perdita della vita. Bisogna trovare il coraggio di denunciare i comportamenti illegali e le attività pericolose. La menomazione per incidenti sul lavoro è un’ingiustizia non solo per il singolo individuo, ma per la convivenza. La prevenzione da un lato, l’educazione delle giovani generazioni dall’altro, sono un presupposto indispensabile per una società più giusta. La dignità della persona, il rispetto della legalità, non devono essere semplici slogan da urlare nelle piazze. Sono valori fondamentali che ognuno deve fare propri. La globalizzazione deve essere un elemento di crescita e non una farraginosa catena di montaggio, in cui ogni lavoratore è chiamato a dare il massimo al minimo costo, perdendo la propria dignità, la fiducia e la speranza nel futuro. Il bene comune dipende da ognuno di noi: non è un concetto, un obiettivo per gli archivi del passato.

Grazie per la Vostra Attenzione.