«La tortura è diventata un mezzo quasi ordinario. Sono i frutti della guerra, qui siamo in guerra, è una III guerra mondiale ma a pezzi». Lo ha detto Papa Francesco lo scorso 18 agosto commentando i tanti focolai di conflitto nel mondo. È purtroppo vero: ogni giorno, in tanti luoghi vicini e lontani, le armi e la ferocia dell’uomo mietono vittime innocenti, diffondono odio, terrore e distruzione.
Il califfato dell’Isis è l’ultima manifestazione di una follia ideologica: cristiani, musulmani, nessuno sfugge alla ferocia dei  nuovi barbari, dotati però delle tecnologie dell’informazione. Le agghiaccianti decapitazioni hanno colpito per la spietata efferatezza. Il califfato del terrore si è autoproclamato in territori di due nazioni già sconvolte da guerre civili. L’Iraq per responsabilità di Bush, complice il sostegno di alleati europei – tra cui l’Italia guidata da Berlusconi – è diventata una terra di nessuno. Anche dopo il ritiro degli Stati Uniti non si è ricostruito un equilibrio tra le diverse etnie né si è affermato un Stato autorevole. I terroristi hanno così trovato praterie per il loro insediamento. La Siria è da anni ferita da scontri armati: da un lato la repressione sanguinosa del dissenso operato da Assad, dall’altro una costellazione di opposizioni al cui interno sono anche componenti fondamentaliste e non democratiche.
Fermare il terrorismo è un dovere e può rendersi necessario anche l’uso della forza militare. La decisione però deve, sempre, essere assunta dalle Nazioni Unite. Così non è stato, anche se va sottolineata l’importanza di un intervento accanto agli Usa, di cinque Paesi Arabi. La forza militare, in ogni caso, non sostituisce la politica, ma ne è al servizio. Occorre una strategia di cooperazione tra i popoli, per un nuovo sviluppo che abbia al centro la Persona e la sua dignità.  E indispensabile è una capacità di dialogo, tra le culture e le fedi religiose; un di più di solidarietà verso i profughi dalle distruzioni della guerra. Ancora una volta spiccano la debolezza dell’Onu, per i ritardi di una riforma che coinvolga le nazioni guida dei vari continenti, e quella dell’Unione Europea. I paesi europei si sono espressi in ordine sparso. Manca una politica estera e di difesa comune: non c’è un governo democratico sovranazionale, né forze armate europee. È di fronte a queste sfide che l’Unione Europea si afferma come una democrazia sovranazionale oppure rischia di regredire ad una somma di Stati, modesti spettatori nel futuro del mondo.