Di: Carlo Gravina
Roma.

“Va bene il confronto con Forza Italia, ma non accettiamo veti da nessuno”. E sul jobs act: “testo invotabile”
Senatore Vannino Chiti, sull’articolo 18 e sulla cancellazione della reintegra per i neo assunti è in atto uno scontro violento interno al Pd. Qual’è la sua posizione?

“Credo che su temi come quello della delega lavoro debba esserci un confronto serio. Anche perché la rivisitazione dell’articolo 18 è stata già fatta nel 2012 dall’allora ministro Fornero e, sia nella campagna elettorale del 2013 che durante le primarie, abbiamo detto ai cittadini che ci saremmo impegnati a razionalizzare i contratti e a dare centralità al contratto a tempo indeterminato con l’obiettivo di portare le tutele verso l’alto e non verso il basso. Ricordo un’intervista di Matteo Renzi, allora sindaco, che condividevo anche perché diceva di finirla con le polemiche sull’articolo 18 perché il mondo delle imprese chiedeva altro”.
Ma il governo non sembra intenzionato a fare marcia indietro.
“Ritengo che non si possa votare né una delega ambigua né un’impostazione che non preveda la possibilità anche del reintegro”.
La Serracchiani ha accusato lei ed altri esponenti del Pd di “strumentalizzare” il dibattito perché, in passato, vi eravate espressi in favore dell’articolo 18.
“La vice segretaria Serracchiani mi pare che abbia spesso l’abitudine di confondere date e frasi con l’intenzione di fare polemica. Le frasi a cui fa riferimento risalgono al 2009 e sono antecedenti di tre anni alla riforma Fornero del 2012. Aggiungo che dopo il 2012 il segretario del mio partito e di quello di Serracchiani, Matteo Renzi, ha fatto valutazioni che io condivido. Se qualcuno ha cambiato idea, quello non sono io”
Nel Pd si parla anche di referendum o di scissione. Sono scenari reali?
“L’ipotesi di una scissione è inesistente e non è un nostro obiettivo: vogliamo un Pd che consideri il pluralismo interno come una ricchezza. Per quanto riguarda il referendum, invece, mi trova d’accordo. Temo, però, che i tempi per avviare una consultazione tra i nostri iscritti sull’articolo 18 non siano compatibili con quelli di approvazione della legge delega. Dovevamo pensarci prima ma non lo abbiamo fatto perché 20 giorni fa sulla riforma del lavoro sembrava esserci grande condivisione”.
Oggi ci sarà un incontro delle varie “anime” pd. L’obiettivo è creare un documento comune da sottoporre al premier.
“Quello che si deve fare è un confronto nei gruppi parlamentari per elaborare emendamenti da inserire nella delega. I gruppi hanno un ruolo preciso sancito dalla Costituzione e in queste sedi bisogna lavorare. Detto questo, penso che sia giusto un confronto dentro il partito senza etichettature e senza diktat. Inoltre, è giusto che su alcuni punti programmatici, non solo sul lavoro, le minoranze interne parlino con una voce sola. Sarebbe un contributo al partito perché avere cento voci non aiuta a farsi comprendere”.
A giorni si tornerà a parlare di Italicum. Crede ancora che il testo vada modificato?
“Sono quattro le modifiche a cui non rinunciamo. Primo: l’introduzione di una sola soglia di sbarramento. Può essere il 4 o il 5% ma deve essere una sola, indipendentemente dal fatto che il partito si presenti o meno in coalizione. Secondo: se ad esempio ci sono 100 circoscrizioni, non ci si può presentare in un terzo di esse perché altrimenti si perde il rapporto tra cittadini ed eletti.
Quindi ipotizzando solo come esempio un numero di 100 circoscrizioni, ci si potrà candidare al massimo in tre anche se la strada maestra sarebbe quella di presentarsi in una sola. Il terzo punto riguarda i collegi. A me piacerebbero quelli uninominali ma se non si otterrà questo, in presenza di più candidati devono essere introdotte le preferenze. Il sistema per cui i capilista non andrebbero scelti con le preferenze mentre gli altri candidati sì, non può essere una mediazione condivisibile. Quarta e ultima modifica: se un partito o una coalizione – io preferirei la prima opzione – supera il 40%, conquista il premio di maggioranza del 53%. Se invece nessuno ottiene il 40%, si va al secondo turno nel quale viene assegnato il premio di maggioranza a chi vince”.
Ci sono le condizioni per approvare queste modifiche, o il Patto del nazareno non darà spazio a correzioni?
“Potrei rispondere con la battuta di Pier Luigi Bersani:  vorremmo pesare nella vita del Pd quanto pesano Berlusconi e Verdini. Al di là delle battute, penso sia importante che su legge elettorale e riforme costituzionali vengano coinvolte anche le opposizioni. Però nessuno può avere un rapporto esclusivo: nessuno deve avere il diritto di veto”
Quanto è concreto lo scenario che prevede un ritorno immediato alle elezioni qualora il premier riscontrasse ostacoli insormontabili sul cammino delle riforme?
“Solo il Presidente della Repubblica, una volta verificato in Parlamento che non esistono i presupposti per creare un nuovo governo, può decidere di sciogliere le Camere e portare i cittadini alle urne. Detto questo, nessuno può pensare di agitare le elezioni con l’obiettivo di stoppare discussioni sui contenuti o per indurre qualcuno a rinunciare a valori di cui si è convinti.
L’Italia non ha bisogno di elezioni anticipate ma di riforme.