Di: Claudio Marincola

ROMA Mentre in Aula la Lega agitava i cartelli e i grillini si imbavagliavano, c’era qualcuno che tentava di ricucire, «in modo trasparente e alla luce del sole, parlando con tutti i gruppi che avevano assunto una posizione critica sulla riforma del Senato», chiarisce subito Vannino Chiti. Un dissidente tessitore? No, nessuna trama segreta, «avere un oceano di emendamenti simili non conviene a nessuno, svilisce il dibattito, ho solo proposto di concentrarli su alcuni punti».

Renzi sapeva?

«Con Renzi ci si conosce da 15 anni. Quando ho visto che su questa base si poteva trovare il consenso di tutti sono andato avanti. Lunedì ne ho parlato con Renzi, con il ministro Boschi, e con il nostro capogruppo Zanda e martedì ho fatto la proposta in Aula».

Ma Sel sì è tirato indietro.

«C’è stata una ambiguità e la situazione è precipitata. Un grande errore. Non s’è capito che un’opposizione non è forte se presenta 7 mila emendamenti ma se ne presenta 7 e su questi 7 apre un confronto. La conseguenza di questo errore sono stati i giorni duri e la gestione condizionante che poi è seguita».

Per la senatrice De Petris (Sel) l’accordo è stato trovato tardi: i buoi erano già usciti dalla stalla.

«Ho l’impressione che la De Petris abbia contribuito a tenere la porta aperta. Se questa proposta fosse stata accettata prima si poteva ottenere qualcosa di più. Poteva passare il listino con i candidati al Senato eletti in concomitanza con le Regionali e alcune nostre preoccupazioni sul Senato non elettivo sarebbero svanite. Renzi su questo punto aveva aperto in un’assemblea del Pd». E ora? «Non penso che questa riforma sia un colpo di Stato o un attentato alla democrazia ma temo che ne complicherà l’efficacia».

In caso di referendum voterà con la Lega e con il M5S?

«Voterò per i cittadini che vogliono continuare a decidere chi dovrà rappresentarli nelle istituzioni. Ma prima ancora del referendum ci sarà il passaggio alla Camera. Spero prevalga la riflessione».

Sel è in Parlamento grazie alla coalizione con Bersani, ma poi ha presentato 7 mila emendamenti contro il governo Renzi. Qualcosa non torna.

«Sel doveva fidarsi e buttare se stessa in questa proposta. Questo errore deve farci riflettere anche sull’Italicum: una soglia unica, intorno al 4/5% per l’accesso garantirebbe alleanze più omogenee e non utile al solo scopo di entrare in Parlamento».

Il centrosinistra ne esce diviso.

«La destra sta ricomponendo una sua unità, Berlusconi ha lanciato l’idea di una federazione. Il Pd farebbe bene a costruire con¬ergenze con Sel, che governa con noi in tante città e regioni, e aprire un confronto con i dissidenti 5 Stelle che ora hanno una loro aggregazione al Senato».

Tra dissidenti…

«Il termine “dissidente” si usava nei Paesi dell’Est quando erano governati da regimi totalitari e aveva perciò un significato quasi eroico. In questo caso c’è solo la volontà di rispondere alla propria coscienza. Ma da noi i dissidenti vanno bene solo quando stanno sul prato dell’altro».

E rispuntata fuori la storia dei 101 di Prodi.

«Quelli che tirano sempre in ballo i 101 penso abbiano la coda di paglia. Giudicano gli altri con lo stile che hanno per se stessi e farebbero bene a contare fino a 10 prima di parlare. Sono tra quelli che hanno votato prima Marini e poi Prodi, quest’ ultimo con entusiasmo e affetto, dopo essere stato ministro nel suo governo. Gli emendamenti che sono stati votati erano stati firmati. I franchi tiratori e il voto segreto non c’entrano, avrei votato alla stesso modo. Nel Pd, al di là delle polemiche aspre, c’è pluralismo e libertà di assumere decisioni mettendoci la faccia. Il pluralismo è un valore ma le correnti sono una minaccia per il pluralismo. Non faccio parte di una corrente e mai ne farò parte».

Anche lei crede che nel patto del Nazareno ci sta un veto su Prodi?

«Mi soprenderebbe e lo riterrei grave. Per come conosco Renzi lo escluderei. Può solo aver detto che nell’elezione del Capo dello Stato si cercheranno le convergenze più ampie, com’è naurale che sia».