FirenzeRiforma del Senato, ovvero una delle più grandi opere di ingegneria costituzionale cui sia sia mai messo mano in Italia. Proprio per questo, e considerando la profondità e complessità dell’operazione, ha destato qualche meraviglia la reazione del governo nei confronti di quella che presto è diventata la “proposta Chiti”, vale a dire un disegno di legge che, pur andando nella stessa direzione della proposta governativa (taglio dei senatori, ad esempio, riduzione dei costi della politica, contemperamento severo del principio del bicameralismo perfetto vigente tutt’ora in Italia) aveva scatenato reazioni molto forti nel Pd, tanto da tacciare di “slealtà” il manipolo (neanche così esiguo) che si era stretto attorno a Chiti e che aveva avuto un punto forte di contrasto nella “destituzione” di Corradino Mineo (“chitiano”) dalla commissione per le riforme costituzionali. Il punto fondamentale di contrasto, pare di capire, la scelta di mantenere la natura elettiva del Senato. Scontro in parte rientrato, con anche l’accettazione di alcuni punti dei “ribelli” a integrare la proposta “ufficiale”. Tutto finito a tarallucci e vino, dunque? Affatto, pare di capire attraverso il colloquio di Stamp con il leader (per competenza, autorevolezza e storia politica da “uomo d’ordine” del partito) di quella che per alcuni è stata “rivolta” per altri “contributo alla discussione”: il senatore Vannino Chiti, che raggiunto a telefono, spiega i punti comuni, le differenze e anche, forse, un’impostazione generale di democrazia che apparirebbe leggermente diversa per le due anime del Pd. Concezioni, verrebbe il dubbio, difficilmente conciliabili. Ma a questa ultima osservazione risponderà la storia.

Onorevole, partiamo da un punto oggettivo: quali sono le differenze, quelle sostanziali intendo, fra il disegno di legge governativo e il vostro?

“Preferirei partire dai punti comuni: ad esempio, il fatto che la Camera dei deputati possieda in esclusiva la prerogatica di dare la fiducia al governo, vale a dire abbia l’esclusività del rapporto di fiducia, è elemento su cui c’è ampio accordo, come il fatto che sempre la Camera abbia la parola definitiva sulle leggi di pertinenza governativa, ad esempio sul bilancio. All’inizio c’era grande differenza e dibattito sulle competenze del Senato, mentre ora, tranne sui diritti fondamentali, è stata accolta la nostra iniziativa che vede competenze paritarie di Camera e Senato su Costituzione, leggi elettorali, referendum e materie concernenti Unione Europea e Regioni. Dunque, tranne che sui diritti fondamentali (minoranze, libertà religiosa, temi eticamente sensibili) si è tenuto conto delle nostre proposte. Anche se le chiedo: come potrebbe prendere lei il fatto che su una questione come ad esempio il fine vita ci sia una decisione e un passaggio solo in una camera? In ogni caso, senza considerare i diritti, sugli altri aspetti e anche sul numero dei senatori, portati a 100 anzichè 150, le nostre proposte sono state accolte. A testimonianza che nella nostra proposta non c’era alcuna intenzione di “sabotaggio”, come è stato dichiarato”.

Passando alle differenze ….

“Passando alle differenze, oltre al fatto che per noi è importante che il tema dei diritti “sensibili” venga affrontato in regime di bicameralismo paritario, dal momento che si tratta di tematiche troppo importanti per lasciarle a una sola camera, è importante anche il dato della diminuzione non solo dei senatori (100, ndr) ma anche dei deputati. Perché dovrebbero rimanere 630? Creando in tal modo anche uno squilibrio evidente col Senato? Per noi, il numero massimo accettabile è di 470. Francamente non si capisce perché gli “innovatori” non accettino questo punto, che con tutta evidenza eviterebbe anche quello squilibrio citato poc’anzi, che ad esempio si manifesterebbe qualora si trattasse di eleggere per esempio il presidente della Repubblica, o il Csm, o la Corte Costituzionale”.

Inoltre si tratterebbe anche di riuscire a diminuire ancora i costi della politica. Di fatto, quello che prefigurate è dunque un parlamento composto di 570 parlamentari, a fronte dei 730 che derivano dall’attuale proposta.

“Un’altra differenza riguarda le modalità con cui si procede sulle leggi che non sono di competenza bicamerale. Mentre sui primi due punti siamo in accordo con l’attuale proposta, dissentiamo sul terzo punto, in cui riproponiamo una regola che vige nel Budensrat: vale a dire, che la legge approvato dal Senato con una maggioranza possa essere modificata solo con la stessa maggioranza dalla Camera. Infine, consideriamo la differenza sulle modalità di elezione del Senato”.

E su questo si gioca gran parte della partita.

“Una delle grandi obiezioni che è stata sollevata circa il mantenimento dell’elezione diretta dei cittadini per quanto riguarda i senatori, è la questione della fiducia, che nel nuovo ordinamento andrebbe votata, com’è noto, solo dalla Camera. In realtà, il pericolo di far rientrare, con l’elezione diretta da parte dei cittadini, la fiducia dalla finestra non si pone, dal momento che i senatori verrebbero eletti in concomitanza con l’elezione dei consigli regionali. Ciò comporta due conseguenze: il Senato non si forma in un’unica elezione e non avrebbe scioglimento in un’unica scadenza. Sull’opportunità di legittimare il Senato con il voto dei cittadini, al di là delle competenze e del ruolo di equilibrio e controllo che tale organo verrebbe ad assumere, è anche la storia a parlare. E’ opportuno ricordare, ad esempio, che negli Usa originariamente i senatori erano di “secondo livello”, vale a dire erano designati dai parlamenti degli Stati Uniti. Ebbene, nel 1913 fu fatta la riforma per dare il voto ai cittadini. Motivo: evitare fenomeni diffusi di corruzione e rappresentanza troppo localistica. Forse nel nostro paese la corruzione non è un problema …….
Ma a parte questo, ricordo anche che a marzo scorso la Francia, che faceva coesistere le cariche di sindaci, presidenti di regione e parlamentari, ha stabilito che dalle prossime elezioni non potranno più rimanere in essere tutte insieme. Forse conviene tenere di conto delle esperienze degli altri paesi, soprattutto quando sono fallite. E non mi pare che mantenere ai cittadini il diritto di scegliersi i propri rappresentanti sia conservazione“.

Alla fin fine come si spiega la reazione esasperata di parte del Pd, fra cui la ministra Boschi, alle vostre istanze? Qual è il punto politico, dal momento che poi alcune delle vostre proposte sono state accolte “tranquillamente”?

“L’unica osservazione che posso proporre è che se ci fosse stata una discussione serena, le nostre impostazioni, poi accolte in parte, sarebbero apparse per quel che erano, vale a dire un arricchimento e non eresie. Gridare al sabotaggio? Una reazione sbagliata, perché il Pd deve per sua natura essere una ricchezza aperta e plurale di idee e contributi, una impostazione che vale ancora di più quando in gioco c’è la Costituzione, per cui il dibattito deve essere ancora più efficace. Non possiamo dare l’impressione di albergare intolleranze. Inoltre, ritengo che un governo non sia “obbligato” a presentare un disegno di legge di riforma costituzionale, ma, una volta presentato, ritengo anche che dovrebbe svolgere un ruolo di regia. Non si può opporre un problema di fiducia, perché la costituzione non è di un governo, o di un Parlamento: è dei cittadini italiani, tant’è vero che, anche se fosse stata presentata la nostra proposta tout court, avrei voluto e vorrei che fossero i cittadini con un referendum a confermare la riforma. Tanto più dal momento che viene attuata in presenza del Porcellum, che sappiamo cosa vuol dire in termini di rappresentanza del Parlamento. Guai ad aver paura della partecipazione: ma come, facciamo primarie aperte a tutti e nel caso di riforma costituzionale no? Per la scelta dei rappresentanti nelle istituzioni no?”

Per quanto riguarda la questione dell’immunità, che ha occupato per giorni il dibattito politico e partendo dai presupposti or ora spiegati, qual è la vostra posizione?

“Sulla questione dell’immunità, stante la nostra posizione circa l’elezione popolare dei sentatori, pensavamo dovesse essere cambiata in questo senso: ne prevedevamo la gestione in carico a una sezione speciale della Corte costituzionale, demandandola quindi a un organo terzo. Soluzione che non regge più con un senato “di secondo livello”, che estenderebbe troppo l’immunità e in modo improprio agli amministratori, mentre d’altro lato la differenzia tra sindaci e tra consiglieri regionali. Insomma, un grosso pasticcio”.

Ma alla fine, il punto politico su cui si basano reazioni scomposte, allarme sabotaggi, accuse di eresie, qual è, secondo quanto lei stesso ritiene?

“Non ho capito fino in fondo il motivo per cui non possono votare i cittadini. L’obiezione sulla fiducia, abbiamo visto che non regge. E’ un problema di costi della politica? Perché allora non si attua rapidamente ciò di cui si è parlato in campagna elettorale, vale a dire l’abbassamento delle indennità di senatori e deputati facendola collimare con quella del sindaco di Roma?

Voglio mettere in guardia da un rischio: la democrazia rappresentativa oggi deve sostenere sfide lanciate da varie parti, a partire dal processo di globalizzazione fino alla necessità di costruire una democrazia sovranazionale europea. La scelta non può porsi fra partecipazione o governabilità, ma deve essere partecipazione e governabilità, unica strada per salvare la via democratica. Se si vede e sceglie solo la governabilità, si rischia di giungere alla dittatura della maggioranza, vale a dire, chi vince fa quel che vuole per cinque anni. Ed è questo deficit di democrazia, il risultato conseguente all’indebolirsi dei controlli dei parlamenti sui governi e dei cittadini sui parlamenti”.