La commissione Affari Costituzionali ha approvato il testo base della riforma del Senato e del Titolo V. È stato deciso di adottare il Ddl presentato dal governo, facendolo precedere dalla approvazione di un impegnativo o.d.g., che indica i mutamenti da introdurre nelle competenze e nel ruolo di controllo del nuovo Senato rispetto alla proposta governativa. Sulla modalità di elezione dei senatori, l’o.d.g. conferma la titolarità dei cittadini. Sarebbe stato preferibile un o.d.g. presentato unitariamente dai due relatori, anziché dal solo senatore Calderoli, tanto più che lo stesso presidente del Consiglio, nell’assemblea del gruppo del Pd, aveva esposto una serie di modifiche, che recepivano proposte contenute anche nel Ddl di cui sono primo firmatario. Il Senato deve svolgere funzioni di garanzia oltre che di rappresentanza dei territori; mantenere un ruolo paritario con la Camera su Costituzione, leggi elettorali e referendum, ordinamenti dell’U.E., diritti civili e politici fondamentali. Sono importanti le funzioni di controllo su politiche pubbliche e nomine, altrettanto la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale su leggi approvate dalla Camera, prima della loro entrata in vigore. Questi punti sembravano ormai acquisiti e avrebbero dovuto essere inseriti nel testo base. In ogni caso sono appunto previsti da un ordine del giorno fatto proprio dalla commissione, che impegna a modificare il testo.
Il superamento del bicameralismo perfetto, per cui la Camera dei Deputati avrà l’esclusività del rapporto fiduciario con i governi e l’ultima parola sulla gran parte delle leggi, è un punto ormai acquisito. Ora vogliamo realizzare, attraverso emendamenti ricavabili dal nostro Ddl, un impianto coerente di rinnovamento del Parlamento, drastica riduzione del numero di deputati e senatori, paritaria rappresentanza di genere, abbattimento dei costi della politica. Lavoreremo anche per cambiare profondamente l’Italicum. Il successo della riforma, di cui la democrazia italiana ha bisogno, richiede che il governo faccia rigorosamente la sua parte, senza avere la pretesa di porre il proprio sigillo sulla Costituzione. Riformare la Costituzione è sopratutto competenza del Parlamento: l’ultima parola spetterà poi con il referendum ai cittadini.
Ero presente la sera del 12 Maggio a Pistoia, al circolo Garibaldi, alla riunione con Vannino Chiti. Devo dire che sono rimasto deluso. Ovviamente io ci sono andato perchè condivido l’impegno di Chiti contro le “riforme” di Renzi. Ma quella sera ho capito che anche Chiti fa parte di quella cultura oligarchica e liberale che è la causa prima della degenerazione dell’Italia negli ultimi 20 anni. Non ho sentito nessuna parola sulle motivazioni economiche e sociali di quello che sta succedendo, sulla miseria e la crisi prodotte dal neoliberismo, che alimenta anche le spinte autoritarie, in Italia come in Europa. E l’ho sentito contrapporre al progetto di Renzi un progetto “alla francese” di collegi uninominali a doppio turno, e non disdegna nemmeno un presidenzialismo all’ americana: l’ ho udito con le mie orecchie! Voglio dire, ma allora che differenza c’è tra Chiti e Renzi?
Ci si lamenta che con le altissime soglie di sbarramento dell’ Italicum moltissimi, troppi italiani saranno esclusi dal Parlamento. Ma con i collegi a doppio turno non saranno esclusi lo stesso? In Francia partiti del 15% sono esclusi. Si continua con la patologia del maggioritario che ci ha regalato 20 anni di berlusconismo di cui non vediamo la fine. Sarebbe ora invece, da parte di molti, di recitare il “mea culpa” per il referendum Segni del 1993.
sul pensiero unico neoliberista e sulle cause della attuale crisi economica chiti ha detto veramente tanto, anche su questo sito si trova molto. Sui sistemi elettorali e sulle forme di stato in Francia e Stati Uniti – non sono i preferiti di Chiti, che in Italia introdurrebbe il premierato forte – capisco il senso di quello che dici ma è diffusa la convinzione che siano sistemi bilanciati, in cui l’equilibrio democratico tra poteri è garantito. Per intenderci: il presidenzialismo americano nulla ha a che vedere con la possibile deriva italiana. Lì il presidente ha nel parlamento un interlocutore indipendente, forte e autonomo. Sono molteplici gli esempi di provvedimenti presidenziali bocciati dal congresso, magari a maggioranza uguale a quella del presidente.
Quella sera Chiti non ha parlato di economia, guarderò meglio il sito.
Sul fatto che Stati Uniti e Francia siano considerati sistemi equilibrati, ciò è indice di una concezione elitaria. E’ vero che ciò che si profila in Italia è peggio, ma secondo me gli USA sono un’ oligarchia liberale. Un sistema a due partiti, gli stessi del 1776, senza proporzionale, senza finanziamento pubblico, quindi completamente controllato dai fortissimi poteri economici. E’ vero che il Congresso controbilancia il Presidente, ma ciò è negativo perchè Obama non è riuscito a far passare la sua pur timida riforma sanitaria se non snaturandola, e non è riuscito nemmeno a far passare l’aumento del salario minimo al Senato dove la maggioranza c’è l’ha il suo partito. Questo non è equilibrio, ma palude; il Presidente è l’unico ad essere eletto con una certa partecipazione, anche se eterodiretta; il Parlamento è elitario e ancor più controllato dai poteri forti. Se negli Usa la sanità pubblica non c’è ci sarà qualche motivo. In Francia vale ciò che ho detto prima. Il Parlamento anche lì non è rappresentativo, il partito della Le Pen, che oggi è primo, non ha deputati; anche se ovviamente quel partito è orrendo, non è giusto che non sia rappresentato. Il doppio turno è figlio del bonapartismo che fu ripreso da De Gaulle nel 1958. Come si fa ad essere di sinistra e amare un sistema del genere? Francia e Usa sono i peggiori sistemi istituzionali in Occidente.
Perchè non valutare invece i paesi scandinavi, proporzionali e parlamentari, e avanzatissimi sul piano sociale? Sono paesi avanzati anche quelli dove non esistono soglie di sbarramento; Sivizzera, Olanda, Lussemburgo, Finlandia, Islanda. E in questi paesi non ci sono nemmeno mai stati problemi di stabilità.
Vorrei aggiungere, visto che quella sera si è parlato, tra le riforme costituzionali possibili, anche di referendum.
Non sarebbe il caso di ripristinare quella norma, decisa dai costituenti (fu votata il 27 Ottobre 1947, ma poi “misteriosamente scomparsa” dal testo definitivo della Costituzione) che proibiva il referendum in materia di leggi elettorali.