«Per noi il Senato deve essere di garanzia, e va eletto direttamente dai cittadini. Con una Camera eletta con l’Italicum servono dei contrappesi».
Vannino Chiti, senatore Pd, ex ministro dei Rapporti con il Parlamento del secondo governo Prodi, ieri ha presentato una proposta di legge sulla riforma del Senato insieme ad altri 21 colleghi democratici.

Perché questa proposta? Volete fermare il disegno del premier Renzi?

«Di testi ne sono stati presentati diversi, dal governo, dal Pd e da altri partiti. Questa è una riforma costituzionale, non una legge ordinaria. Una riforma che noi vogliamo fortemente, perché serve al Paese, non solo perché lo propone il governo, che ha il merito indubbio di aver accelerato. Vogliamo confrontarci alla luce del sole, chi pensa a complotti o trappole di solito se ne sta defilato e si manifesta al momento del voto, siamo per un confronto leale».

In quali aspetti la vostra proposta diverge da quella di Renzi?

«Anche nel nostro testo si prevede la fine del bicameralismo paritario, e che per la gran parte delle leggi l’ultima parola spetti alla Camera, tranne che per le riforme costituzionali, le leggi elettorali, ordinamenti dell’Ue, ratifica dei trattati internazionali e diritti civili e politici fondamentali, come ad esempio i temi eticamente sensibili. Nel nostro testo prevediamo 106 senatori, tutti eletti diretta mente dai cittadini (6 all’estero) contemporaneamente ai consigli regionali e con il proporzionale, e il dimezzamento dei deputati da 630 a 315. Solo la Camera dà la fiducia ai governi. La differenza fondamentale riguarda l’elezione dei senatori e le competenze più ampie del Senato».

Voi però mantenete l’indennità per i senatori..

«Nel nostro disegno i costi della politica si abbattono in modo più significativo: ci sono solo 421 parlamentari contro i 630 del ddl del governo. Secondo me le indennità di tutti vanno parificate a quella del sindaco di Roma, e cioè circa 5mila euro netti al mese. Qualunque sia l’indennità dei parlamentari, comunque nella nostra proposta si risparmia rispetto a quella del governo».

Perché insistete per l’elezione diretta?

«Per noi è fondamentale che, in un momento di distacco tra istituzioni e cittadini, la sovranità resti pienamente nelle mani degli elettori, non di collegi composti da sindaci o consiglieri regionali. Questo perché il nuovo Senato, avrà compiti rilevanti, compresa l’elezione del Capo dello Stato».

Dunque non volete i sindaci e i governatori promossi a senatori?

«La sovrapposizione di funzioni e i doppio incarichi non sono una buona cosa. In Francia i doppi ruoli li stanno eliminando, perché dobbiamo adottarli noi? Che senso ha fare del Senato un dopo lavoro per sindaci? Fare bene due mestieri non è semplice. E poi promuovendo senatori sindaci e governatori rischiamo di avere pochissime donne, e anche una sottorappresentazione di alcune forze politiche importanti come il M5S: se il nuovo Senato si facesse oggi, i governatori e i sindaci dei capoluoghi sono quasi tutti uomini, del Pd o di Forza Italia. Ma un Senato di garanzia deve essere scelto col proporzionale, possibilmente con le preferenze. Le forze nuove che nascono devono poter entrare in Parlamento, altrimenti diventano anti-sistema».

Condivide Pallarme di Rodotà per I rischi di squilibrare il sistema o addirittura di autoritarismo?

«Con una Camera eletta col maggioritario, cosa per me giusta, la seconda deve riequilibrare e avere l’autorevolezza dovuta. Non parlerei di autoritarismo, ma di un rischio di squilibrio e accentramento dei poteri».

Come vi muoverete?

«Ci confronteremo col governo, con il gruppo Pd e con gli altri. Quando ci sarà un testo base valuteremo se proporre emendamenti. Al governo chiediamo di non aver paura della discussione, ci sono molti punti su cui l’intesa è possibile. Non credo chel’idea di dimezzare i deputati possa essere respinta dal governo. E non si può lasciare la bandiera dell’elezione diretta nelle mani della destra e del M5S: per il Pd sarebbe un autogol».

Sull’elezione diretta andrete fino in fondo?

«Discuteremo. Su una legge di questo tipo non è previsto il voto di fiducia. Auspico convergenze ampie e trasversali. La Costituzione non appartiene a un governo o ad una maggioranza».