Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, prima di tutto devo esprimere un disagio e in qualche modo devo anticipare le mie scuse ai colleghi e al Presidente del mio Gruppo che mi hanno chiesto di fare questa dichiarazione di voto. Io non sono in grado e non voglio neanche imparare a trasformare la politica in una rissa tra persone in cui non c’è confronto di idee o di posizioni ma solo intolleranza nei confronti delle persone, che siano amici o avversari. Non penso che questa sia la strada giusta, e mi scuso perché non riesco e non voglio imparare. Voglio concludere la mia esperienza politica senza aver imparato.
Vorrei dire ai colleghi del M5S che alle ultime elezioni hanno avuto il 25% circa dei voti, che forse quei voti e quei consensi dovrebbero esprimerli con la criticità che vogliono per dare un contributo alla vita delle istituzioni, e non per trasformare la vita delle istituzioni in una forma di degrado.
Ho apprezzato i temi che il Presidente del Consiglio ha posto oggi nelle comunicazioni rese al Senato e alla Camera.
Per inciso, Lei, Presidente, non ha bisogno di dare giustificazioni, perché chi avesse seguito anche un minimo il dibattito avrebbe capito che il suo ritardo nel presentarsi in quest’Aula era da addebitarsi al protrarsi della discussione, del confronto e delle dichiarazioni di voto nell’altro ramo del Parlamento.
A parte questa mia considerazione, penso sia stato giusto porre all’attenzione della Camera e del Senato, alla vigilia di un Consiglio europeo così impegnativo, alcuni temi che sono all’ODG e che emergono anche da un punto di vista politico.
Il primo riguarda l’Ucraina, cui ha fatto riferimento il senatore Romani. Non voglio ripercorrere la storia, in ordine alla quale posso condividere per molti aspetti le sue considerazioni.
C’è però un aspetto che dobbiamo sottolineare: in Europa non si può e non si deve continuare con la modifica  dei confini degli Stati con occupazioni ‘di fatto’, solo perché così è avvenuto negli ultimi anni. È un fenomeno al quale dobbiamo porre estrema attenzione. Infatti, se queste modalità dovessero perpetrarsi, le future generazioni del nostro Paese rischieranno di vivere quello che noi abbiamo vissuto in passato: venti anni di guerra fredda, che non vogliamo ci siano più.
La vicenda dell’Ucraina e quello che si muove in Europa o nel Mediterraneo con le “primavere arabe” fanno anche comprendere l’importanza di una Unione europea che abbia una politica estera e di sicurezza comune e non 28 politiche estere o 28 politiche di sicurezza che non ne fanno una.
Da questo comprendiamo l’importanza che, in questa vicenda, ha avuto l’atteggiamento dell’Unione europea e – diciamolo con chiarezza – al suo interno, quello del Governo tedesco così come quello del Governo italiano, che hanno insistito – come è giusto che sia e come è giusto che si continui a fare – perché la fermezza dei principi e dei valori si difenda per via diplomatica e politica, e non isolando un Paese.
Diversamente, ci troveremmo davanti a complicazioni che farebbero soffiare nuovamente venti di guerra fredda.
Ho anche apprezzato il fatto che il Presidente del Consiglio non abbia soltanto parlato dei dossier, che sono importanti e che si pongono all’attenzione del Consiglio europeo dei prossimi giorni: la competitività in Europa, la strategia delle politiche industriali, il clima, l’energia. Faccio presente che l’Europa non improvvisa: i dossier all’ordine del giorno del Consiglio europeo non sono stati preparati negli ultimi cinque minuti.
A questo proposito voglio sottolineare la continuità nell’azione dei Governi, e anche del nostro Paese. Oltre a questo, dobbiamo considerare che si sta determinando una svolta, secondo me: questo è il punto di svolta, e per questo ho apprezzato che la seconda parte dell’intervento del Presidente del Consiglio relativa al progetto Europa, pone di nuovo al centro il tema dello sviluppo e dell’occupazione. Rappresenta non solo un fatto positivo che risponde ai bisogni dei Paesi e dei cittadini europei, ma anche il punto d’arrivo per il quale hanno lavorato i Governi italiani degli ultimi anni. Interviene, quindi, anche un elemento di soddisfazione per quello che abbiamo fatto e che dobbiamo tenere presente, valorizzare e rivendicare.
Ha fatto bene il Presidente del Consiglio a porre il problema su cui dobbiamo confrontarci e su cui è sperabile che, nel nostro Paese, si formi una maggioranza ben più ampia di quella che sostiene ora il Governo, e anche ben più ampia delle forze politiche: la necessità, cioè, di ricostruire una fiducia e una speranza tra i cittadini. Progetto Europa, progetto dell’Unione europea: sì, noi vogliamo un’Unione Europea più forte, ma anche un’Unione europea diversa; più forte e più vicina ai cittadini, che colga le priorità e più democratica.
Dobbiamo insistere su questo aspetto, non per non compiere le nostre scelte, ma perché, se non si tengono insieme risanamento dei bilanci, sviluppo e occupazione, non soltanto si creerà uno scollamento (e non una riforma) tra le istituzioni dell’Unione e cittadini, ma si determinerà un mancato raggiungimento del risanamento dei bilanci, come è successo nel nostro Paese. È chiaro che dobbiamo fare e realizzare le riforme enunciate; da quelle del sistema politico ed istituzionale a quelle della Pubblica Amministrazione, dal mercato del lavoro alla spending review. Vorrei dare un consiglio personale al Presidente del Consiglio: sulla spending review, faccia in modo che i commissari riferiscano a lei e al governo e che il governo poi decida e comunichi le disposizioni, perché, in altro modo, si apriranno 150.000 focolai e ci si fermerà. Perché per fare le riforme ci vuole consenso.
Noi non vogliamo superare il 3% nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo, e non perché ce lo chiede l’Europa, la Germania o la Francia, ma perché abbiamo un debito pubblico enorme da cui dobbiamo uscire e lo vogliamo fare con le nostre riforme. Al tempo stesso, non per rozzo sentimento antitedesco ma perché è giusto, dobbiamo dire alla Germania che faccia quello che la Commissione dell’Unione europea ha detto di fare e che cito testualmente: «orientare le priorità strategiche verso il rafforzamento della domanda interna», altrimenti lo sviluppo, la solidarietà e la coesione europea non si realizzeranno.
In tema di riforme bisogna, inoltre, introdurre alcune misure.
Insisto su questo punto: vediamo se riusciremo, nel corso della nostra presidenza di turno, a tradurre concretamente la ‘fiscal capacity’, ossia quella capacità di risorse autonome della zona euro, che può essere utilizzata per attuare riforme profonde e serie; altrimenti, sarà difficile sostenerle, senza il consenso dei cittadini. Con riferimento al nostro semestre di presidenza, ho apprezzato il discorso sul Mediterraneo: a mio avviso dovremmo proporci fondamentalmente due temi, oltre al cambio netto di politiche da indirizzare verso lo sviluppo sostenibile. Quanto alla riforma delle istituzioni europee, per esempio, si può chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri italiano di rendersi protagonista in Europa nel sostenere la proposta di applicare, nella politica estera e di sicurezza, non il metodo intergovernativo, ma unitario.
Potrà il Presidente del Consiglio dei ministri italiano su questo piano restituire centralità concreta ad un’azione da protagonista dell’Italia per cambiare l’Europa e farle compiere un passo avanti?
Vi è infine un’opportunità da cogliere nelle prossime elezioni europee: quella che le famiglie ed i partiti europei si presentino ognuno con un programma e con un candidato alla Presidenza della commissione. È un piccolo segno? Sì, ma la politica questa volta entra nelle istituzioni europee: può essere un modo per sconfiggere i populismi, ma non bisogna generalizzare questo tema. Sono d’accordo, infatti, sul fatto che vi siano populismi che segnalano malcontento e insofferenza e con la loro voce ci aiutano a correggere i malfunzionamenti del sistema politico-istituzionale; ve ne sono altri, però, che si collocano in una posizione contraria e reazionaria e questi vanno sconfitti. Questo piccolo passo ci può aiutare ad andare in quella direzione, mentre ve n’è un altro che potrebbe essere fatto, e tocca all’Italia compierlo, dato che avrà la Presidenza di turno. Faremo di tutto, ma non credo vi sia una forza politica europea che avrà la maggioranza assoluta: dopo le elezioni, scegliere chi sarà il presidente della Commissione comporterà una lettura dei risultati politici e un’alleanza. Su questo punto, per me, aveva ragione Barbara Spinelli che oggi ha pubblicato un articolo su «la Repubblica». Dovranno essere misure e procedure trasparenti, e non potranno dunque essere affidate soltanto al Presidente del Consiglio europeo. Credo che il Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea possa svolgere un ruolo e ottenere questo risultato. Su questa base e con queste convinzioni, annuncio che il Gruppo del PD esprimerà voto favorevole alla mozione in esame, non solo per il Consiglio europeo di domani e domani l’altro, ma per il progetto dell’Europa che il Governo ci ha presentato.