Il nuovo governo guidato dal segretario del Pd Matteo Renzi è entrato nel pieno delle sue funzioni dopo la fiducia ottenuta al Senato e alla Camera. Nel suo discorso alle Camere il presidente del Consiglio ha tenuto una linea inusuale rispetto alla tradizione, nei modi e nei contenuti: è stata una scelta positiva perché si è rivolto direttamente alla gente, al Paese che aspetta risposte da tutti noi, mettendo da parte l’autoreferenzialità. Le istituzioni pagano il forte distacco dai cittadini: è importante ricostruire un dialogo costante per uscire dalla crisi economica, sociale e culturale che ci ha colpiti. Si può fare, impegnandoci tutti insieme, ognuno con le sue responsabilità.
Renzi ha posto le priorità programmatiche per il governo dell’Italia: l’occupazione, la riduzione delle tasse sul lavoro, la valorizzazione della scuola, il saldo di tutti i crediti che le imprese vantano con lo Stato e le amministrazioni locali, la riforma della Pubblica Amministrazione, l’approvazione di una nuova legge elettorale, le riforme costituzionali.
Il lavoro da fare è tanto e difficile: commetteremmo un errore se pensassimo che per risolvere i problemi sia sufficiente lasciare che a tutto provvedano Renzi e i suoi ministri. Tanto più in presenza di una maggioranza composita come quella che sosteneva il governo Letta. È richiesto ai gruppi parlamentari un ruolo forte: un ruolo di sostegno ma anche di autonomia e sollecitazione rispetto all’azione del governo. Non è un modo di dire rituale: è il centro, oggi, della sfida politica. Una delega in bianco farebbe presto deragliare.
Un compito particolarmente delicato tocca al Pd: il nostro partito è nato per essere la casa comune dei progressisti e dei riformisti. È un grande progetto politico, ma non è ancora una realtà compiuta. Bisogna coinvolgere tanti italiani, formare una militanza sincera e appassionata, creare un rapporto continuo con i cittadini. Una lacerazione sulle grandi scelte nei gruppi parlamentari darebbe un colpo di grazia non solo al governo ma allo stesso Partito Democratico. Evitarlo è un bene anche per l’Italia.