L’incendio scoppiato in una fabbrica di Prato che ha causato la morte di 7 operai e il ferimento di altri, alcuni in modo grave, è una tragedia per certi versi annunciata. Ha riportato l’attenzione collettiva su un fenomeno diffuso e che non riguarda solamente il territorio di Prato e la comunità cinese: in tante province d’Italia esistono fabbriche semiclandestine, in particolare nel settore tessile, che costringono i lavoratori in condizioni di sfruttamento estremo, ai limiti della schiavitù. Lo dimostra quanto è stato scoperto a Prato nel capannone andato a fuoco, ma che avviene in tanti stabilimenti “gemelli”: gli operai lavorano dall’alba fino a sera, a ritmi elevati, con pause praticamente inesistenti, e trascorrono la notte all’interno dello stesso capannone in dormitori di fortuna, che somigliano a dei lager. Tutto ciò avviene ogni giorno sotto i nostri occhi. A Prato si stima che tra regolari e non, lavorino circa 45mila donne e uomini di nazionalità cinese. Ma anche a Napoli, per limitarmi ad un solo altro esempio, migliaia di persone, italiane ed extracomunitarie, vengono sfruttate.
Il fenomeno inaccettabile per un paese civile come il nostro comporta altri due aspetti negativi: queste aziende mettono in atto una concorrenza sleale sul mercato, dal momento che abbattono i costi di produzione sfruttando i lavoratori e riconoscendo loro redditi da fame; al tempo stesso fomentano il rancore dei cittadini verso le comunità di stranieri e accentuano le divisioni sociali.
Le leggi per impedire che tutto ciò avvenga ci sono. Bisogna farle rispettare rafforzando il controllo del territorio e coinvolgendo le comunità cinesi ed extracomunitarie nell’impegno per la difesa di fondamentali diritti. Un lavoro sicuro e dignitoso riguarda l’avvenire di tutti: di chi in Italia è nato e di quelli che sono venuti a viverci. La risposta giusta è una nuova unità, non maggiori divisioni.
PS: domenica si tengono le primarie per eleggere il segretario del Partito Democratico. È un appuntamento importante: si sceglierà non solo il leader, ma la linea politica e il modello del nostro partito. Sostengo Gianni Cuperlo perché condivido le sue impostazioni alternative al neoliberismo, la sua idea della politica e del Pd come sinistra plurale, ancorato alla famiglia dei progressisti e dei socialisti europei.