«Se c’è un punto di convergenza nel programma di tutti e quattro i candidati alle primarie per la segreteria del PD, bene questo è proprio l’adesione al PSE. Se poi qualcuno immaginava un futuro differente, allora avrebbe dovuto presentarsi come candidato con una piattaforma programmatica diversa». Così il senatore democratico Vannino Chiti, in un’intervista all’Avanti!, fa il punto  sulla polemica, l’ennesima, esplosa in casa PD dopo che il segretario Epifani aveva annunciato che “tra febbraio e marzo” i democratici avranno «l’onore di organizzare a Roma, per la prima volta, il congresso del Pse». Un’altra faglia in un partito che, sempre più, come ricordava il senatore Macaluso in un’intervista di qualche giorno fa sul nostro giornale evidenzia l’eredità di quella «fusione a freddo tra Margherita e Ds» che fu all’origine del PD stesso.

Proprio da un ex popolare come Beppe Fioroni, infatti, arriva la bordata al “progetto” di adesione alla famiglia del socialismo europeo: «Se il Pd entra nel Pse, torna al ’96», ha detto l’ex esponente della Margherita definendo un’eventuale decisione in questo senso come una «vocazione peggioritaria». Ma non basta: secondo l’esponente dell’area cattolica dei democrat, addirittura, l’adesione al PSE farebbe  «venire meno l’atto fondativo del PD».

«Francamente non ricordo che esista nell’atto di fondazione del PD una clausola di questo tipo, forse si confondono con l’atto di scioglimento della Margherita», commenta Chiti che sottolinea come «il punto da tenere in considerazione è che la Margherita e i DS non esistono più, ma esiste solo il PD e la sovranità delle scelte riguarda non gli iscritti al partito di ieri, ma a quello di oggi». Inoltre, per Chiti, «appare inverosimile che nello statuto di un partito si inserisca un punto su ciò che non si deve fare. In ogni caso, anche se così fosse – aggiunge – gli statuti si possono cambiare con maggioranze qualificate».

Un problema non di poco conto, comunque, che riguarda la visione stessa del futuro del partito e intorno al quale molti hanno voluto vedere un elemento di possibile spaccatura. Non così il responsabile Esteri del Psi, Bobo Craxi, che ritiene inverosimile uno scenario di questo tipo: «Escludo la rottura per un motivo molto semplice, ovvero che, in vista elezioni, prevale la spinta a rimanere dentro una casa più grande». Secondo l’esponente socialista «il problema del PD nel rapporto con il socialismo europeo è che vi è un forte filo di ambiguità rispetto all’adesione sia all’Internazionale socialista che al PSE che si riflette nella formula ambigua di osservatore all’interno della prima e di partner istituzionale nel secondo. Credo che, anche con Renzi, continueranno a mantenere una posizione poco chiara e, anche se ci dovesse essere adesione, il partito vorrà mantenere un passaggio elettorale autonomo, cosa che io considero un errore e un atteggiamento provinciale soprattutto se si vuol far parte della schiera di partiti e forze politiche che si richiamano a Schulz».

Cosa vuol dire, dunque, aderire al PSE per i democratici?

Quale impatto potrebbe avere sul PD?

Per Chiti «stare con i socialisti europei vuol dire cercare di dare un contributo affinché gli orizzonti, i confini, i valori e le priorità programmatiche possano ampliarsi abbracciando le forze riformiste, democratiche e progressiste anche oltre la famiglia stessa dei socialisti». Un problema che, ricorda l’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento, «si trascina da decenni: su questo aspetto fu proprio Bettino Craxi ad aprire la strada quando lanciò l’idea che bisognava creare un’internazionale democratica». In questo senso, dunque, per Chiti «stare nel PSE è una scelta valoriale e programmatica, non tattica».

La penserà così anche il prossimo segretario del partito?

di Roberto Capocelli