Saint Malò, 26-27 settembre 2013

Signor Ministro Le Drian, Presidente della Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime europee, cari colleghi, Signore e Signori,
prima di tutto voglio ringraziare per questo invito, in occasione del 40° anniversario della CRPM.

E’ trascorso oltre un decennio da quando ho avuto l’onore di svolgere l’incarico di Presidente della Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime. Di quell’esperienza serbo un ricordo vivo e positivo: sia dei colleghi delle diverse Regioni, dal Baltico all’Atlantico, dal Mare del nord al Mediterraneo; sia dei collaboratori, qui a Rennes. Per tutti voglio ricordare Xavier Gizard, di recente scomparso, con il quale molti di noi – e certamente tutti quelli che in una fase hanno assunto la responsabilità della Presidenza – hanno avuto rapporti, apprezzandone intelligenza, impegno, una dedizione che ha contribuito in modo significativo al rafforzamento e alla estensione della nostra Associazione.
Ancor più resto convinto – passando all’attualità e non più ai sentimenti della memoria – del ruolo importante che svolge la Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime, non solo per i territori e le loro esigenze di sviluppo, le loro potenzialità e vocazioni, ma per la stessa Unione Europea.

La Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime per tempo – e prima di altri – si è concentrata su obiettivi come la programmazione territoriale nel quadro di uno sviluppo socialmente giusto e ambientalmente sostenibile; sull’importanza del mare, non solo dell’economia del mare, della pesca, dei trasporti marittimi, ma anche di una cultura cioè di una visione generale della vita e delle attività umane che impedisca all’Europa di adagiarsi in visioni unilaterali, esclusivamente definite in orizzonti continentali; sulla necessità di un’economia equilibrata, orientata da solidarietà non da assistenzialismi, perché l’Europa non può essere caratterizzata da una o due locomotive, capaci di trainare un convoglio e in grado di tracciarne la direzione, e da tanti vagoni più o meno significativi o sopportati, ma tutti ininfluenti e subalterni.
Senza coesione e benessere diffuso l’Unione Europea non potrebbe avere il futuro che è stato sognato da quanti, in modo lungimirante, ne sono stati gli artefici.
Lo abbiamo, almeno noi, avuto sempre chiaro: oggi mi sembra che in tanti se ne rendano conto, dietro l’urto di una crisi mondiale, non nata sul nostro continente, ma che ha colpito con particolare durezza l’Europa. Ed ancora non ne siamo usciti.
Chi ha colpito? Certo tutti, ma in modo più pesante i settori più deboli della società, i giovani in cerca di lavoro, quanti hanno perso l’occupazione, fossero lavoratori dipendenti o imprenditori, gli anziani; certo tutti, ma in modo più pesante i territori periferici, quelli che hanno visto non sollecitate e promosse ma compresse potenzialità che sarebbero state importanti, oggi, per l’insieme dell’Europa.

Perché da noi, in Europa, la crisi ha – purtroppo non possiamo ancora parlarne compiutamente al passato – non solo una intensità, ma una durata temporale così prolungata?
Perché l’Unione ha scelto di affrontarla solo con misure di austerità, svincolate da politiche per rilanciare lo sviluppo, l’occupazione, da interventi in grado di mettere al centro i territori e la coesione.
Il risultato è sotto i nostri occhi: 26 milioni di disoccupati.
Bisogna cambiare strada: qualche segno diverso, qualche decisione nuova, all’ultimo Consiglio europeo si sono visti. Non è sufficiente.
Occorre una complessiva e netta inversione di tendenza. Le risorse dell’Unione Europea devono sostenere politiche regionali di sviluppo, di occupazione, di valorizzazione ambientale, di modernizzazione delle infrastrutture; devono essere utilizzate per favorire la formazione, diffondere innovazione e ricerca.
Esistono risorse sufficienti nel bilancio dell’Unione rispetto a tali obiettivi, alla volontà politica di assumere queste finalità come prioritarie nella sua iniziativa?
Questo è il tema della nostra tavola rotonda.
Ancor più attorno a queste scelte e a queste prospettive continua a definirsi l’esistenza, la specificità, la caratterizzazione, vorrei dire la ragion d’essere di una associazione come la Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime.
Permettete che sottolinei ancora qualche valutazione nel merito delle tematiche che affrontiamo.

Parlare oggi di politiche di coesione e di bilancio europeo significa prendere innanzitutto atto di un risultato non del tutto in linea con quanto ci si aspettava.
Il nuovo accordo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 che si va delineando poteva e doveva essere più ambizioso.
È vero che le misure di austerità richieste ad alcuni Stati membri per il loro consolidamento fiscale sono state necessarie, ma doveva farsi un sforzo in più a livello europeo per compensare i prevedibili impatti sociali determinati dalla perdita di risorse destinate ad alimentare comunque la domanda interna. Se il livello statale nazionale viene chiamato a dare il suo contributo al ripristino di finanze pubbliche sane, un’Europa veramente solidale avrebbe dovuto investire di più per sostenere e rinnovare il suo modello di economia sociale di mercato e di Welfare.
Purtroppo non è stato così, perché, come ha affermato anche il Parlamento europeo nella sua risoluzione del 3 luglio 2013, l’accordo raggiunto sul quadro finanziario pluriennale al Consiglio europeo del mese di giugno 2013 è “insufficiente rispetto agli obiettivi politici dell’UE e all’esigenza di garantire l’efficace attuazione della strategia Europa 2020” e rischia di non essere “sufficiente a dotare l’Unione dei mezzi necessari a riprendersi dalla crisi attuale in modo coordinato e a uscirne rafforzata”.
Ciò oltretutto significa che il risanamento di bilancio imposto agli Stati membri rischia di non essere controbilanciato a sufficienza da interventi compensativi a livello europeo.
Lo ribadisco: promozione della crescita e risanamento di bilancio sono sinergici. Privilegiare solo il secondo rischia di far perdere di vista la prospettiva di un’Europa capace di promuovere la crescita e l’occupazione.

Nel Senato italiano, ad esempio, abbiamo sostenuto esattamente questa posizione. Nella risoluzione votata in occasione dell’approvazione del Documento di Economia e Finanza per il 2013 si è affermato che “una politica di bilancio basata esclusivamente sull’austerità non sarebbe in grado di assicurare la crescita e aggraverebbe l’attuale recessione: ad essa va immediatamente associata una politica volta a creare occupazione”.
Ora, coerentemente con questa posizione, uno dei punti fermi del negoziato sulle prospettive finanziarie 2014-2020 è stato per noi proprio quello relativo alle risorse destinate alla politica di coesione.
Si tratta di un settore nevralgico per la politica dei singoli paesi e per quella europea, all’incrocio tra esigenze di solidarietà e esigenze di buona efficienza nella spesa.
Sono convinto che in questo periodo di forte recessione a livello europeo sia anche un intervento che può mobilitare risorse e fornire uno stimolo ad una domanda interna stagnante.
Favorire la crescita passa anche dalle risorse della politica di coesione. E ciò vale soprattutto nelle aree più svantaggiate che ricadono nell’ambito di azione dei fondi strutturali. Quelle regioni richiedono azioni prioritarie per rimuovere ostacoli di ordine economico e sociale che ne impediscono il pieno dispiegarsi come zone ad alto tasso di vivibilità e al fine di permettere un libero operare delle forze produttive, anche incentivando le politiche per l’occupazione.
Occorre unire e coordinare le risorse della politica di coesione, per i territori svantaggiati e per l’occupazione. Tutto è intrecciato e ruota intorno al lavoro quale asse fondamentale della società europea.

Il forte consolidamento fiscale che si è reso necessario negli ultimi anni per molti Stati membri, ha determinato – vi ho già fatto cenno – un aumento della disoccupazione per molte persone, tra le quali tantissimi giovani, anche e soprattutto nelle zone svantaggiate.
Se non vogliamo perdere i risultati acquisiti dall’Unione Europea e se non vogliamo che i nostri giovani abbiano una percezione sbagliata e un distacco dalle istituzioni della democrazia – anche in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo nel maggio 2014 -, bisogna fornire loro un sostegno materiale, indicare prospettive concrete,  speranze credibili per il futuro.
Il Consiglio europeo del mese di giugno ha preso delle decisioni importanti che sta ora a noi rendere operative, dando la possibilità ai nostri giovani di poter conseguire un’occupazione in tempi rapidi.
Fondamentale in tal senso è la “garanzia europea per i giovani”, che consentirà, nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale 2014-2020, di utilizzare risorse finanziarie consistenti, in collaborazione con il Fondo sociale europeo. L’anticipazione al 2014-2015 degli stanziamenti destinati a tale iniziativa è sicuramente da accogliere con favore: in Italia, con un provvedimento approvato a luglio, abbiamo già iniziato a rendere utilizzabili tali risorse a partire dal prossimo gennaio con misure particolari a sostegno dell’occupazione giovanile e dei gruppi sociali più esposti al rischio di povertà materiale.
È positivo che lo scorso 27 giugno le istituzioni europee abbiano raggiunto un accordo per introdurre disposizioni e meccanismi di flessibilità per rendere il bilancio europeo 2014-2020 maggiormente efficace, trasparente e adeguato alle esigenze dei cittadini. La valutazione sul Quadro Finanziario Pluriennale resta invece negativa rispetto alle insufficienti risorse che rischiano di compromettere il margine di manovra del Parlamento nelle procedure di bilancio annuali.
È significativo il fatto che, nel bilancio, 70 miliardi siano mobilitati per l’azione esterna dell’Unione. Riveste particolare importanza la politica europea di vicinato: la macroregione del Mediterraneo va vista come un insieme coerente che forma un unico bacino culturale e ambientale in cui si condividono caratteristiche e priorità comuni. A questo scopo è necessario mantenere le attuali proporzioni dei fondi: due terzi destinati alla dimensione meridionale dell’Unione e un terzo a quella orientale.

Ciò che sta avvenendo nella riva sud del mediterraneo lo giustifica senza bisogno di spendervi altre parole.
La trasparenza dei negoziati sul bilancio dell’UE è un aspetto fondamentale, anche per avvicinare i cittadini alle istituzioni europee, un piccolo passo per superare quel ‘deficit democratico’ che il Trattato di Lisbona ha iniziato a colmare, rafforzando il ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali.
Europa, occupazione, modello sociale di sviluppo devono essere connessi nelle politiche e nel messaggio da dare ai giovani e a tutti i cittadini.
Lo sviluppo passa, però, anche dalla utilizzazione efficace di tutte le risorse messe a disposizione dalla politica di coesione. La capacità di impiegarle in modo compiuto, al fine di controbilanciare la non sempre adeguata utilizzazione da parte degli Stati membri dei fondi ad essi concessi, è stata alla base di altri due importanti impostazioni assunte dal Consiglio europeo di giugno, in tema di fondi strutturali. Dobbiamo tenerle presenti  con grande attenzione.
Da un lato, si sono invitati gli Stati membri alla riprogrammazione,  ove opportuno, dei fondi non spesi. Dall’altro, si è impegnata la Commissione europea a fornire un’assistenza tecnica rafforzata agli Stati membri, a loro volta invitati a migliorare la propria capacità amministrativa.

Ed è proprio in questi aspetti che si annida uno dei seri problemi che la gestione dei fondi strutturali ha comportato nei singoli Stati.
È la gestione amministrativa nella utilizzazione dei fondi, la qualità e adeguatezza dei progetti che, in alcune realtà territoriali, presenta delle lacune.
Non si può però scaricarne le responsabilità sulle sole istituzioni amministrative. Soprattutto a livello di enti territoriali e locali – e molti di noi sanno cosa significhi gestirli – le risorse in capitale umano sono talora oggettivamente scarse per seguire tutte le funzioni di loro competenza. E ciò vale soprattutto per i procedimenti ad alto tasso di complessità amministrativa quali sono quelli inerenti i fondi strutturali, che coinvolgono non solo la conoscenza della normativa interna, ma anche di quella europea.
Si tratta allora di andare avanti con l’assistenza alla formazione specifica da parte della Commissione europea e con la conoscenza delle migliori pratiche, rafforzando i ruoli di regia e di direzione, nei singoli Stati membri, e ad opera di Associazioni come la Conferenza delle Regioni Periferiche e marittime.
Già in passato, e ancor più sono convinto in questa fase, la Conferenza è in grado di individuare, selezionare, organizzare la partecipazione di istituzioni territoriali. A programmi concordati con la Commissione dell’U.E..

Non possiamo perdere risorse. Dobbiamo spendere ogni singolo euro che ci viene dato, soprattutto in un periodo di crescita negativa e di disoccupazione dilagante. E non dobbiamo disperdere i fondi strutturali in troppi obiettivi, di difficile realizzazione e di scarsa incisività. E’ fondamentale cercare di concentrarli, realizzarli concretamente, farne occasione e strumento per cambiare i territori europei.
In questo quadro accresce il suo rilievo il concetto di territorialità dello sviluppo: le realtà locali e territoriali devono essere portate al centro della programmazione e delle prospettive di crescita, realizzando così di fatto quella concentrazione degli obiettivi che si pone quale criterio generale di allocazione ottimale delle risorse.
Concludo queste mie considerazioni citando la Commissione europea nel suo documento sul Semestre europeo 2013. Fare uscire l’Europa dalla crisi: “nei prossimi anni, le risorse erogate dai fondi strutturali dell’UE per finanziare gli investimenti svolgeranno un ruolo chiave in certe parti dell’Unione”.
In tempi di risorse scarse, cerchiamo non solo di ampliare quelle necessarie a politiche di coesione e sviluppo, ma al tempo stesso impegnamoci senza risparmio per utilizzare al meglio quelle che già abbiamo a disposizione. Non un solo euro deve andare perduto. Non saremmo compresi dai nostri cittadini.