Venire a Marzabotto suscita sempre una commozione profonda.
Parlare è un’ emozione intensa perché qui più che altrove avvertiamo la pochezza delle parole, la loro insufficienza di fronte ad una testimonianza di dolore tanto grande.
In questo luogo più che il suono delle nostre parole ha valore il silenzio di una riflessione tra noi e noi, di un raccoglimento.
Ma trovare delle parole, per quanto inadeguate, è necessario perché come diceva uno scrittore, Giovanni Arpino, “ogni vero ricordo è ancora un richiamo, una verità che ci lavora nelle ossa, un febbrile atto di sfida al buio di domani…”
Questo è, questo deve essere per tutti noi italiani il significato che assume la memoria storica della Resistenza, dei sacrifici, delle morti, della lotta per conquistare libertà e democrazia, per restituirci l’orgoglio di una rinnovata patria.
In questo luogo, come a Sant’Anna di Stazzema e nei tanti luoghi grandi e piccoli insanguinati da una barbarie ancora peggiore di quella della guerra, si avverte quanto l’uomo sia capace degli slanci più nobili, delle solidarietà più generose ed insieme delle più basse e orrende nefandezze. Questo è un luogo simbolo delle stragi che i fascisti ed i nazisti operarono sulle popolazioni civili, su persone inermi. Donne, bambini, vecchi, dovevano essere assassinati per creare terrore, per imporre con la violenza spietata, con crudeltà inimmaginabili, il progetto delle dittature di dominio sul mondo. Per cercare di stroncare ogni volontà di resistenza, ogni sussulto di dignità dell’essere umano.
Del resto la paura, il terrore, la repressione, le persecuzioni, nei confronti degli oppositori al regime erano il mezzo seguito non solo nelle nazioni occupate con la guerra, ma prima in Italia e Germania, dove le dittature si erano impadronite del potere.
Antonio Gramsci morirà in carcere perché come dirà il PM Michele Isgrò in ossequio ai voleri di Mussolini – allora la magistratura non era indipendente – “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”.
E tanti altri furono uccisi: da Amendola ai fratelli Rosselli, da Gobetti a Don Minzoni; tanti furono costretti all’esilio.
Fascismo e nazismo avevano un profondo disprezzo per la persona, la sua dignità. Vi erano i Capi, i popoli eletti, l’obbedienza cieca o in alternativa l’eliminazione. Gli oppositori, gli ebrei, i nomadi, i diversi dovevano essere uccisi.
Qui più di mille persone furono trucidate. Altri persero la vita in seguito, per le mine disseminate dappertutto, che continuarono a colpire chi tornava nei luoghi della strage per cercare i resti dei propri cari, e poi per ricostruire, per far rivivere questa terra rimboccandosi le maniche come la gente laboriosa da noi sa fare.
Come fece – per citare un esempio tra tutti – quella straordinaria famiglia italiana dei fratelli Cervi.
No. Nessuno ci chieda di perdonare. Non è possibile. Non ci è consentito. Non è nelle nostre disponibilità.
Il perdono è una grande scelta individuale. Chi lo compie merita non solo rispetto ma ammirazione.
Qui non siamo, però di fronte ad atti riconducibili ai rapporti tra alcune persone, nei quali qualcuno abbia patito violenza. Siamo in presenza di crimini contro l’umanità e i crimini contro l’umanità non possono essere né prescritti né archiviati.
I crimini contro l’umanità devono essere perseguiti: non per vendetta ma per spirito di giustizia. La condanna inappellabile verso i responsabili di misfatti orrendi, la memoria che deve saper attraversare i secoli, rappresenta un dovere collettivo. Perché per quanto è nelle nostre responsabilità mai più la storia debba ripetersi.
Sappiamo che a volte – come abbiamo visto nei Balcani, nel Kosovo, a Srebrenica, in Darfur – la storia ritorna con le sue tragedie e lo sterminio di innocenti.
Nei confronti di Kesselring e di Reder, responsabili di questa strage e di tante altre in Italia, valgono le parole dette dal Pubblico Ministero al processo in Israele contro Adolf Eichmann: nessuno può chiederti di essere neutrale di fronte al crimine di genocidio. Se c’è un giudice nel mondo intero che si dice neutrale di fronte a questo crimine, quel giudice non è adatto a sedere in tribunale…” Eichmann è “l’assassino di un popolo, un nemico del genere umano. Egli è nato uomo ma è vissuto come una belva della giungla. Ha commesso crimini orrendi e chi li ha commessi non merita più di essere chiamato uomo…”
Siamo grati ai familiari delle vittime, alle associazioni della Resistenza, alle istituzioni locali, a tutte quelle organizzazioni e persone che negli anni hanno con continuità scelto di raccontare di quei giorni tremendi, consentendo così a questa memoria di non disperdersi, di assumere la forza di una memoria nazionale.
E siamo grati a quanti hanno testimoniato nei processi, fino a quello più recente a La Spezia, per squarciare veli di protezione e di silenzi, per fare individuare e condannare i responsabili.
Colgo l’occasione per salutare il Dr. De Paolis, presente questa mattina, che è stato pubblico ministero in quel processo.
Una grande filosofa ebrea tedesca Hannah Arendt in un memorabile libro “La banalità del male”, ricordando la spiegazione assurda data dal criminale Adolf Eichmann del suo comportamento cioè quello di avere solo obbedito agli ordini e alle leggi della Germania nazista, gli risponde idealmente con le parole di una sentenza che non fu mai pronunciata: “Tu hai eseguito e perciò attivamente appoggiato una politica di sterminio. La politica non è un asilo: in politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa. E come tu hai appoggiato e messo in pratica una politica il cui senso era di non coabitare su questo pianeta con il popolo ebraico e con varie altre razze, noi riteniamo che nessuno, cioè nessun essere umano desideri coabitare con te”.
Le parole con le quali nel processo il Pubblico Ministero si rivolge ad Eichmann sono quelle con le quali – cambiati i riferimenti personali o geografici – in ogni tempo si devono porre in stato di accusa i carnefici: “Quando mi ergo di fronte a voi, Giudici di Israele, per condurre l’accusa contro Adolf Eichmann, non sono solo. Con me sono sei milioni di accusatori. Ma essi non si possono levare in piedi e puntare un dito accusatore verso colui che siede nella gabbia di vetro e gridare: Io accuso. Perché le loro ceneri sono accumulate nelle colline di Auschwitz e nei campi di Treblinka e sparse nelle foreste della Polonia.
La storia del popolo ebraico è sprofondata in sofferenze e lacrime […] Mai, tuttavia, lungo la strada macchiata di sangue percorsa da questo popolo, mai, dai primi giorni della sua storia nazionale era sorto qualcuno capace di infliggergli colpi così dolorosi come fecero l’iniquo regime di Hitler e Adolf Eichmann in qualità di suo braccio esecutivo per lo sterminio del popolo ebraico”.
Si può aggiungere: come fecero tutti quelli che, fosse pure per codardia, si resero complici nell’attuare lo sterminio.
Non si possono condannare l’ Olocausto, le leggi razziali, non si può essere amici del popolo ebraico senza una riprovazione morale e politica del fascismo e del nazismo.
I comandi tedeschi sollecitavano i massacri e garantivano l’impunità dei responsabili. Rispondevano con le stragi di civili alle azioni di guerra dei partigiani e degli eserciti alleati.
È indispensabile ribadirlo qui, oggi.
Il nostro paese è in debito con le vittime delle stragi.
Nel 1994 a Palazzo Cesi a Roma, nella sede della Procura Generale militare, furono trovati 685 fascicoli sui crimini nazifascisti. È l’armadio della vergogna.
Se negli anni immediatamente successivi alla guerra quei fascicoli fossero stati inviati alle Procure competenti, sarebbe stato possibile individuare e condannare i responsabili di quella “guerra ai civili” che provocò 15.000 vittime.
La relazione di minoranza della commissione di indagine del Parlamento nel febbraio 2006 evidenziò le responsabilità in malintese ragioni di Stato nell’epoca della guerra fredda; in eccessive continuità tra vertici militari e Magistratura militare; nel fatto che i Procuratori militari di allora avevano ricoperto cariche importanti durante il regime fascista.
Per saldare almeno in parte il nostro debito verso le vittime e i loro familiari, occorre fare svolgere tutti i processi che sono possibili; bisogna sostenere una grande operazione – verità, aprendo e mettendo a disposizione degli storici tutti gli archivi; promuovere una Fondazione per la memoria dei crimini nazifascisti, che potrebbe avere sede a Roma presso l’Altare della Patria.
Per questi territori attraversati da una ferocia disumana sia approvata la legge per il riconoscimento del carattere nazionale della “Fondazione Scuola di pace di Monte Sole e del Parco Storico di Monte Sole” e siano ripristinate le risorse già stanziate ed ora bloccate dalla manovra economica del governo.
La democrazia non può dimenticare, non può essere indifferente, non deve rinunciare a punire.
Quest’anno ricorre il 60° Anniversario della nostra Costituzione.
Uno dei grandi padri costituenti Piero Calamandrei disse nel gennaio del 1955, parlando a Milano ad un gruppo di studenti universitari e medi: “se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate là… col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
In luoghi come questo la verità di quelle parole assume una solennità particolare: dobbiamo scolpirle in noi, in tutti gli italiani, via via che le generazioni si succedono.
La Resistenza rappresenta una radice essenziale, ineliminabile, dalla quale è nata la Costituzione.
Non è solo una verità storica, ma qualcosa di più: un nesso di natura ideale, culturale, d’ispirazione.
La Costituzione è antifascista e lo scrive in modo indelebile. Il fascismo è stato la dittatura che ha conosciuto l’Italia.
La Costituzione e la Repubblica segnano una discontinuità netta, radicale con il fascismo.
La Costituzione è contro ogni totalitarismo: al suo centro è la persona, la sua dignità, la sua libertà, la sua responsabilità.
La Costituzione assume come suoi valori guida la democrazia, la giustizia e la pace.
Qualche commentatore si stupisce che 65 anni dopo la fine della guerra vi sia ancora in Italia un dibattito sul fascismo e sull’antifascismo.
In realtà di altro dovrebbe stupirsi e cioé del fatto che in questi decenni nel nostro Paese, a differenza del resto dell’Europa, la destra nel suo insieme non abbia ancora fatto i conti con l’antifascismo.
Alcuni suoi settori restano ambigui, altri mostrano una specie di convincimento tattico, di adesione per necessità avvolta al fondo in una preoccupante indifferenza.
Voglio essere chiaro, anche se so che non tutti o su tutto siamo d’accordo.
E’ non soltanto giusta ma doverosa la pietà verso i morti, verso chi in quegli anni di ferro e di fuoco è stato privato della possibilità di vivere.
La pietà verso i morti non è né potrà mai essere indifferenza o neutralità nei confronti delle cause per le quali si combatteva.
Libertà e dittatura; democrazia e totalitarismo; aggressione e difesa della patria; dignità della persona e suo disprezzo non sono termini tra loro scambiabili.
Ho apprezzato le recenti parole del Presidente della Camera Gianfranco Fini, quando ha detto: “i resistenti stavano dalla parte giusta, i repubblichini dalla parte sbagliata…non si può equiparare chi stava da una parte e chi dall’altra. Onestà storica e compito di una destra che vuole fare i conti con il passato è dire che non è equivalente chi combatteva per una parte giusta e chi dalla parte sbagliata…”
“Chi è democratico cioè si riconosce nei valori della libertà, dell’ uguaglianza e della giustizia sociale è antifascista…”
Quando tutta la destra italiana si ritroverà con convinzione, senza incertezza e non per obbedienza, su queste impostazioni sarà un grande giorno per il nostro paese.
Quel giorno quelli che sono morti per restituire a noi la libertà, perché l’Italia potesse cambiare e rinnovarsi; che hanno sofferto e spesso sono stati uccisi nei campi di concentramento; le vittime innocenti delle stragi non saranno caduti invano.
Non possiamo, non è in nostro potere, restituire loro quella vita che non hanno vissuto: ma le loro idee, le loro ragioni si saranno affermate definitivamente nella nostra società; le loro scelte verranno sentite da tutti, come quelle che hanno salvato e reso l’onore all’Italia.
Ho già detto che la nostra Costituzione nasce nel solco tracciato in tutta Europa dalla lotta contro il fascismo, il nazismo, ogni totalitarismo.
Per la prima volta tutti gli italiani – non solo gli uomini ma anche le donne – scelgono con il voto la Repubblica ed eleggono l’Assemblea Costituente.
La nostra è una grande Costituzione. E’ la Costituzione degli italiani. In essa – che è la Carta della nostra dignità e della nostra libertà – sono scritti i nostri diritti e i nostri doveri, quelli che ci fanno essere cittadini e ci fanno vivere come popolo.
Dobbiamo sentire nei nostri cuori una profonda gratitudine verso i Costituenti, uno per uno, quale che fossero il partito di appartenenza e le loro convinzioni ideali.
In anni di duri scontri politici, di forti contrapposizioni per le concezioni che si avevano del mondo e della società, seppero trovare le ragioni di una intesa, della concordia guardando all’Italia, al suo interesse generale, al suo futuro, a noi che saremmo venuti dopo.
La Costituzione italiana non nasce dalla trattativa di gruppi di potere, ma da una forte spinta politica e ideale di partiti di massa che avevano assunto l’effettiva rappresentanza del Paese.
La Costituzione contiene obiettivi permanenti – diritto alla istruzione, alla cultura, alla salute, al lavoro (un lavoro nel quale non si muoia come troppo spesso avviene da noi), alla giustizia sociale, partecipazione di tutti alla vita democratica – che mai saranno definitivamente acquisiti.
Indica i grandi riferimenti, la bussola per la navigazione del paese: non sostituisce certo la politica, le sue scelte, le sue responsabilità.
I confini della Costituzione segnano il discrimine tra ciò che nel confronto politico è per sua natura negoziabile e ciò che deve essere salvaguardato con intransigenza perché non lo è.
Stupendo è l’articolo 3: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Come ho detto, la Costituzione lega indissolubilmente diritti e doveri: afferma il dovere della solidarietà; di impegno nello studio e nel lavoro; della partecipazione alla vita delle istituzioni; la responsabilità sociale delle imprese.
La Costituzione mette al bando la guerra e impegna l’Italia a “consentire, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni…”.
È su questo articolo 11 che si fonda la nostra scelta di costruire l’ Unione Europea e la nostra collaborazione, sotto l’egida dell’ONU, alla lotta contro il terrorismo e per affermare ovunque i diritti umani.
Con la Costituzione e la Repubblica l’Italia ha progredito come mai nella sua storia.
Oggi, di fronte all’esplosione in ogni paese e anche da noi di tante diversità (politiche, territoriali, sociali, personali, religiose, etniche, linguistiche); nel venir meno dei partiti che avevano stipulato il “patto costituente”, di questa nostra Costituzione c’è ancor più bisogno. Essa rende possibile la pacifica convivenza del pluralismo, divenendo ancor più cemento unificante, principio di coesione e di identità.
Come ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio alle Camere nel giorno di insediamento alla suprema carica dello Stato, si può parlare di “memoria condivisa” come premessa di una comune identità nazionale, che ha “il suo fondamento nei valori della Costituzione”, il cui richiamo “trae forza dalla loro vitalità, che resiste, intatta, ad ogni controversia”.
La Costituzione, con i suoi principi, è attuale.
Lo è quando ci indica di non tapparci occhi e orecchie, di non sottovalutare i fenomeni di razzismo, di violenza contro persone perché diverse per colore della pelle, religione, sesso.
Al di là di tutto il resto – che occorre venga subito accertato – è non solo indegno ma agghiacciante che a Parma su un fascicolo della Polizia Municipale venga scritto “negro”.
La Costituzione è attuale quando ci sollecita a non arrenderci di fronte al riarmo di tanti paesi, alla corsa che è ripresa alla diffusione delle armi nucleari, ai tanti conflitti che ancora insanguinano il mondo, allo spreco ingiusto di risorse che servirebbero per vincere la fame, la povertà, la sfida del clima e dell’ambiente.
La Costituzione è attuale quando ci indica la scelta senza alternative della legalità e ci chiede un impegno contro la criminalità organizzata, perchè mafia, camorra, ‘ndrangheta, siano – come è possibile – sconfitte e debellate.
Voglio salutare il Sindaco di Gela, con noi a questa manifestazione, e ringraziarlo per il suo impegno in prima fila contro la mafia; così come voglio ringraziare i magistrati, le forze dell’ordine, i cittadini e soprattutto i giovani che sono impegnati su questo fronte.
La Costituzione è attuale quando afferma che il mercato, l’economia non sono divinità assolute di questo nostro tempo, ma devono essere sottoposti a regole, perché il fine è la persona, la sua dignità e promozione. E nel cambiare degli strumenti con i quali realizzarle resta un dovere quello di assicurare uguali opportunità a tutti i cittadini.
La Costituzione è attuale quando ci parla di democrazia, di centralità del Parlamento, cuore del sistema della rappresentanza, del ruolo delle istituzioni regionali e locali.
In questo campo, è vero, occorrono riforme. Sono urgenti. Devono essere realizzate con uno schieramento ampio, non dalla sola maggioranza del momento.
La Costituzione è dei cittadini italiani, non della sinistra o della destra.
È giusto differenziare i compiti di Camera e Senato; è giusto ridurre il numero dei parlamentari; è giusto rafforzare insieme il ruolo dei governi, che devono però restare di tipo parlamentare.
Comuni, Provincie e Regioni devono assolvere funzioni accresciute, avere una più ampia autonomia e responsabilità finanziaria. Non abbiamo paura a parlare di federalismo ma federalismo è solidarietà, più forte coesione del Paese, non sua divisione. Mai ci presteremo ad uno smembramento della nostra patria. Mai. Il compito è quello di rendere l’Italia protagonista della costruzione dell’Europa, non quello di tornare agli staterelli dell’Ottocento.
Anche le leggi elettorali devono essere cambiate, non a colpi di maggioranza ma con una grande e trasparente convergenza: si tratta delle regole per la Casa comune; devono garantire – a differenza di quanto accade oggi – che i cittadini scelgano con il voto le maggioranze di governo, ma al tempo stesso le donne e gli uomini che li rappresenteranno in Parlamento.
E devono consentire che intanto alle elezioni amministrative votino anche gli immigrati che da anni vivono legalmente in Italia e sono ancora privati della pienezza dei diritti di cittadinanza.
Vogliamo una democrazia capace di fare partecipare e di saper prendere decisioni.
Queste innovazioni sono del tutto coerenti con la Costituzione: anzi consentono di farla vivere con più efficacia nel presente.
Piero Calamandrei – lo cito ancora – diceva: “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno…, la propria responsabilità… Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indiffernza alla politica…”.
Queste sue parole ci impongono una riflessione.
Cosa stiamo facendo, cosa abbiamo fatto per diffondere l’impegno necessario a far vivere la Costituzione, a rinnovare generazione dopo generazione l’adesione ai suoi valori?
Non possiamo essere soddisfatti. Non è sufficiente. Occorre uno slancio adeguato a questi nostri tempi.
Noi che siamo nelle istituzioni, dai Comuni al Parlamento, dobbiamo fare del rigore, della sobrietà, della serietà e della competenza il nostro stile. Dobbiamo sentire come nostro compito fondamentale quello del rapporto tra istituzioni e cittadini.
Noi tutti, come cittadini, dobbiamo dedicare un po’ del nostro tempo alla vita delle comunità, alla politica.
La politica non è sporca. Quello che è, i suoi contenuti, i suoi protagonisti derivano dalla responsabilità di noi cittadini.
È ancora Calamandrei a dirci che “la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale, quando comincia a mancare…” .
È diritto di ogni cittadino criticare chi rappresenta le istituzioni; è dovere di ogni cittadino offrire il suo impegno alla vita delle istituzioni; è sbagliato, inammissibile, pericoloso per la democrazia contrapporsi alle istituzioni, organizzare il loro discredito, il dissenso verso di esse.
Ai giovani dobbiamo offrire una scuola nella quale, con lo studio, si imparano conoscenze, ci si impadronisce di un metodo in grado di apprenderne di nuove, ma al tempo stesso si diventa cittadini di un unico popolo.
I valori non sbocciano spontaneamente, con il sole o la pioggia. I valori si condividono, si mettono in pratica, si trasmettono.
Negli Stati Uniti i bambini alle elementari studiano il Preambolo della loro Costituzione. Altrettanto dobbiamo fare noi in Italia.
Nelle scuole e prima nelle famiglie si devono incontrare il rispetto verso gli altri, la tolleranza, la solidarietà, l’amore per la libertà e la democrazia.
Ancora nella scuola si deve incontrare l’Europa, sentirla come il nostro destino, viverla con quella passione anche ideale che animò i momenti più alti della nostra storia quali il Risorgimento e la Resistenza.
Vorrei concludere il mio intervento con i versi stupendi con i quali Primo Levi apre il suo libro “Se questo è un Uomo”:
“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli”.
Ripetiamole a noi e ai nostri figli. Viviamole con coerenza, sempre.