Il direttore de l’Unità ha invitato a riflettere sul ruolo dei cattolici nella sinistra. È un tema da affrontare in termini nuovi rispetto al passato. Riguarda la ridefinizione della cultura politica di una sinistra moderna.
La riflessione deve avere un respiro europeo. La nuova famiglia dei progressisti europei deve avere al suo interno, non in incognito, credenti cattolici, di altre fedi religiose, diversamente credenti.
È un pluralismo che arricchisce.
La nascita del Pd ha contribuito a rendere più europea la politica italiana, dando un riferimento praticabile alla diversità di opzioni politiche per i credenti. Nella Dc coesistevano componenti di destra e di sinistra: lo giustificava una fase storica che appariva mettere a rischio la libertà religiosa, negli anni della guerra fredda. Oggi i progressisti – anche in Italia – stanno con i progressisti, i conservatori con i conservatori. Vale per credenti e non credenti: è un passo avanti per la democrazia.
La Chiesa in Italia è giunta all’approdo del pluralismo politico dei cattolici con un percorso non facile: la Presidenza della Cei da parte del Cardinale Ruini aveva portato ad una centralizzazione in essa dei rapporti politici e ad un privilegiamento pressoché esclusivo dei cosiddetti valori non negoziabili, espressione ben diversa – come sottolinea Sardo – dagli originari principi irrinunciabili.
Ne è disceso un ridimensionamento del ruolo del laicato cattolico, che ancora pesa sulla Chiesa e sull’Italia; dall’altro la destra berlusconiana, per concedere alle gerarchie una sorta di supervisione sulle leggi di natura bioetica, ha preteso un lascia passare per minare l’etica pubblica e i valori della Costituzione. Ancora oggi non a tutti è chiara la perdita di influenza morale che ha causato la compromissione subalterna con la destra berlusconiana.
Il culto dell’individuo egoistico, l’esaltazione del successo fine a sé stesso, il fastidio per la legalità, l’avversità agli immigrati e ai diversi, hanno avuto slancio nella stagione di Berlusconi e della Lega.
Il nostro tempo presenta sfide che esigono una nuova cultura politica. C’è una base comune da cui partire: il primato della persona e della sua dignità; la sostenibilità ambientale dello sviluppo; la non violenza; la laicità.
Le differenze non consistono nel negare l’esistenza di una questione antropologica accanto a quella sociale. Il progredire delle scienze, la libertà della ricerca ma insieme la necessità di una governance democratica per decidere l’attuazione delle sue scoperte, ce la rivelano.
La sinistra non ha imbarazzo a difendere la dignità della vita.
La differenza risiede nel riconoscimento o meno dell’autodeterminazione della persona.
Se si ragiona attorno alla cultura da affermare nella società, trovo condivisibile che l’autodeterminazione della persona si realizzi sulla base della cultura della responsabilità e non di un edonismo individualistico.
Sono persuaso che a sinistra si debba compiere una svolta profonda, non continuando a concepire il principio di autodeterminazione all’interno di una cultura dei soli diritti, egemone negli anni settanta del secolo passato, ma oggi non più in grado di parlare all’insieme della società.
Il mondo cattolico, in molti suoi settori, stenta a coniugare il valore della vita con quello della libertà e responsabilità.
L’autodeterminazione della persona non è contro le fedi religiose: lo stesso ritorno alla religione si fonda su un inedito ruolo personale, che si esprime nella comunità ma non vi scompare.
L’autodeterminazione della persona non può essere sostituita dall’autorità dello Stato o di qualsivoglia potere religioso.
Lo Stato etico opprime la Persona e non libera la società: neppure le religioni e le culture.
È su questo che bisogna confrontarsi, per costruire sintesi nuove ed un’etica condivisa.