Gianni Agnelli, il più importante imprenditore italiano, alla guida della Fiat per molti anni, era per tutti l’Avvocato. Vi era in questo il segno non solo di un rispetto, ma di una forma di affetto, certo di ammirazione per lo stile e la passione per la vita di un uomo intelligente e aperto.
Nato nel 1921 e morto nel 2003, è stato testimone e protagonista di un secolo, il XX, definito “breve” ma intenso, portatore di immani tragedie – le due guerre mondiali, i tanti conflitti, le dittature che hanno insanguinato il mondo – e di scoperte scientifiche e tecnologiche che hanno cambiato il modo di vivere, di lavorare, di produrre, di viaggiare, di comunicare di tutti noi.
Gianni Agnelli ereditò una grande fortuna, seppe trasformarla in un impero imprenditoriale che ha dato e ancora oggi assicura lavoro a tanti italiani, contribuendo al progresso economico del nostro paese. Seppe anche creare le condizioni perché la Fiat molto avesse dall’Italia e dalle sue istituzioni.
Una collaborazione che sarà opportuno, nell’interesse di tutti, non disperdere nel prossimo futuro: occorre voltare pagina rispetto all’irresponsabile disinteresse dei governi Berlusconi-Tremonti-Bossi per l’avvenire produttivo del Paese.
Da persona di grande intelligenza, Agnelli vide le debolezze anche di visione strategica, del capitalismo italiano, verso il quale più volte manifestò analisi e sollecitazioni critiche; ebbe consapevolezza della necessità di un’intesa con i sindacati, per creare consenso attorno a riforme indispensabili. Sarà bene non archiviare questi aspetti come notazioni datate: oggi occorrerebbe più che mai un’apertura sia da parte imprenditoriale che dei sindacati per dar vita ad un patto di ampio respiro, con al centro da un lato il decollo di uno sviluppo sostenibile e dell’occupazione, dall’altro l’affermarsi di un modello di democrazia industriale, quale quello esistente in Germania.
Non si può esaltare la Germania per lo sviluppo, i bilanci in ordine, magari la stessa organizzazione federale dello Stato, tralasciando il ruolo decisivo delle relazioni sindacali, la partecipazione dei lavoratori – attraverso le proprie rappresentanze – alla vita delle imprese.
Da qui passa, anche per la politica, un via riformista che cambi l’Italia.
Per i suoi meriti in campo economico e sociale, nel 1991, Gianni Agnelli venne nominato senatore a vita dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, suo grande amico, disse di lui: «aveva una visione internazionale dei problemi. Ha contribuito a sprovincializzare il nostro Paese. Ho sempre sentito in Agnelli un legame profondissimo con l’Europa, che concepiva come un ancoraggio necessario per l’Italia, una sorta di garanzia indispensabile». Sono parole quanto mai attuali e sottolineano un altro lascito di un leader dell’industria che ha saputo essere un grande italiano: sì, l’ancoraggio europeo resta per il nostro Paese un destino senza alternative.