Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica Napolitano ha indicato la priorità che dovrà essere affrontata da governo e Parlamento dopo le elezioni: l’emergenza sociale. Il Pd – prima all’opposizione di Berlusconi-Bossi-Tremonti e poi con il sostegno autonomo al governo tecnico – lo sottolinea da anni: l’Italia ha bisogno di dare avvio a uno sviluppo nuovo e sostenibile, di rafforzare il potere d’acquisto delle famiglie e dei cittadini a reddito medio-basso. La crisi economica e le politiche di risanamento hanno aggravato e esteso le situazioni di povertà.
Il centrosinistra si candida a guidare l’Italia con una proposta che pone al centro delle politiche l’etica pubblica, il lavoro e la sua dignità, una riforma delle nostre istituzioni in un percorso coerente con la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Con le primarie per la selezione del 90% dei parlamentari e le personalità della società civile, il Pd si presenta agli elettori con candidature che assicurano competenza e pluralismo.
Il presidente del Consiglio Monti guiderà i partiti di centro nella competizione elettorale. È una scelta legittima ma che mi appare sbagliata sul piano della coerenza e dei contenuti. Monti ha guidato un governo di emergenza, sostenuto in maniera autonoma da tre partiti di diversa collocazione politica. Il passaggio da questo ruolo super partes a quello di contendente, con toni anche molto aggressivi verso chi come il Pd lo ha sostenuto con lealtà, e soprattutto la sua proposta reticente e ambigua sulle alleanze, non contribuiscono a sconfiggere la destra populista e leghista né a preparare un futuro migliore al paese. Destra e sinistra, conservatori e progressisti esistono nella società: dire che si è “oltre” come fa Monti significa chiudere gli occhi di fronte alla concreta esperienza europea. È un dovere chiarire le priorità di governo e con chi ci si allea per realizzare una sfida riformista. Altrimenti Berlusconi con il Pdl e la Lega si riaffacciano e, dopo aver portato il Paese sull’orlo del baratro, rischiano di tornare ad essere protagonisti, con favole e promesse al vento. Non c’è più bisogno di leadership personali. Il Pd è un partito vero e plurale. Il suo successo è l’unica garanzia di stabilità democratica, per sconfiggere quel populismo estremista e antieuropeo, nemico dell’avvenire dell’Italia.