L’assistenza pubblica per le persone non autosufficienti non è una fonte di spesa su cui è possibile operare risparmi. È un investimento in civiltà che nessun governo può pensare di ridurre: non c’è crisi economica o esigenza di risanamento dei conti pubblici che giustifichi un arretramento sul fronte dell’aiuto ai più deboli. Farlo significherebbe lasciare che dei cittadini bisognosi di assistenza 24 ore su 24 perdano la vita perché abbandonati a sé stessi. È inaccettabile.

A partire da questa mattina un gruppo di malati di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) del ‘Comitato 16 novembre’ sta protestando di fronte al ministero dell’Economia contro quella che correttamente considerano una forma di «abbandono del welfare». Chiedono al governo che nella Legge di Stabilità si stanzino risorse adeguate per garantire l’assistenza dei disabili non autosufficienti.
Questi cittadini, in mancanza di risposte certe e immediate, minacciano di lasciarsi morire per mancanza di ossigeno. A fianco della loro protesta si sono schierate decine di associazioni. Come ha affermato Salvatore Usala, malato di Sla e segretario del Comitato 16 Novembre, queste persone non chiedono elemosine ma diritti.

A loro voglio rivolgere un appello accorato affinché non portino la sacrosanta protesta a conseguenze estreme e imprevedibili. Siamo dalla loro parte e, come abbiamo già fatto alla Camera, al Senato ci batteremo affinché diritti fondamentali, che addirittura riguardano la possibilità di vivere nel modo più degno possibile, siano garantiti.
A fine ottobre, cinquanta persone con disabilità gravi e gravissime avevano iniziato una dura protesta, uno sciopero della fame, insieme ai loro familiari. Nei giorni successivi, alla Camera, durante l’iter di approvazione della Legge di Stabilità, sono stati stanziati 500 milioni, di cui 300 destinati alle politiche sociali e 200 alla non autosufficienza. Questo importo è molto inferiore rispetto alle necessità. I 200 milioni, ripartiti per i 25mila disabili italiani gravi e gravissimi, assicurerebbero ad ogni malato un contributo per l’assistenza domiciliare pari a 600 euro al mese, mentre le necessità richiederebbero sostegni 5-6 volte maggiori per ognuno di loro. Per le persone ricoverate presso una Residenza Sanitaria Assistita il fabbisogno, per ciascuno, è di 70-90 mila euro l’anno.

Per questo motivo il ‘Comitato 16 novembre’ chiede che il fondo venga quantomeno raddoppiato, portandolo a 400 milioni. Trovare la copertura per stanziare ulteriori 200 milioni non è un compito impossibile, se rapportato al complesso della Legge di Stabilità, senza ovviamente modificare gli equilibri finanziari già fissati. Teniamo conto che si tratterebbe comunque di una cifra meno che sufficiente. Reperire le risorse necessarie per garantire a tutti i cittadini non autosufficienti un pieno sostegno è un dovere: in caso contrario parlare di solidarietà, eticità che fonda la politica, diventerebbe semplice cinismo. Uno Stato, nel 2012, non può disinteressarsi di chi non solo è più debole, ma è colpito da malattie così pesanti da rendere una sorta di sfida significativa, un esempio a cui guardare con ammirazione e rispetto, il quotidiano sforzo per la vita.
Il risanamento è indispensabile, ma non si realizza colpendo chi è più debole e indifeso.