L’intervento del vice presidente Chiti sul tema “Tra religioni e politica: la costituzione di una nuova classe dirigente nel post primavera araba”, nell’ambito della Conferenza internazionale “Un mare tre due sponde, un ponte tra due mondi”, organizzata dall’Associazione Rondine Cittadella della Pace.

1) SFIDE PER LA DEMOCRAZIA
Introduzione
Su cosa può fondarsi, ancor più in questo nostro secolo, una collaborazione tra due mondi, che hanno in comune non solo lo stesso mare, ma una storia e la costruzione di un futuro, di un destino non separato? Sul dialogo, la comprensione reciproca, su un impegno condiviso per dar vita a società democratiche, perché senza democrazia non si costruisce un domani di pace, stabilità, sviluppo equilibrato e duraturo.
La democrazia è l’ordinamento che più di ogni altro garantisce la dignità e la libertà di ogni persona, fissando dei limiti al potere degli Stati; è un valore in sé che, per realizzarsi compiutamente necessita di un coinvolgimento dei popoli e degli individui; di un impegno coerente della comunità internazionale.
Si fonda su valori quali la tolleranza, la convivenza fra religioni, culture ed etnie diverse, l’uguaglianza tra uomini e donne, l’impegno per la ricostruzione delle società sconvolte dalla guerra.
Dopo aver vinto nel XX secolo i totalitarismi di destra e di sinistra, la democrazia è a rischio di crisi, sfidata dai fondamentalismi, dal terrorismo, da una globalizzazione affermatasi fino ad ora senza regole, così che la finanza ha reso subalterne l’economia reale e la politica. Non possiamo archiviare gli attacchi alle Ambasciate occidentali e dimenticare il barbaro assassinio dell’Ambasciatore degli Stati Uniti in Libia: è necessario assicurare ovunque il rispetto per ogni fede, ma bisogna chiedere fermezza a tutti i Governi, anche a quelli nati dalla primavera araba che hanno aperto speranze di cambiamento: niente può giustificare la violenza. Preoccupano i ripetuti attacchi alle chiese cattoliche in Nigeria e Kenya, come ogni atto contro cittadini ebrei e sinagoghe, come l’intolleranza verso i musulmani. Non si può restare indifferenti.

La primavera araba sta incontrando difficoltà, come avviene in fasi di transizione, tanto più se accompagnate da una grave crisi economica come quella che ha colpito il mondo e in primo luogo l’Occidente. Quei Paesi devono portare a compimento la costruzione di una reale democrazia. L’Unione Europea non può stare a guardare: è nostro interesse vitale che quell’obiettivo venga raggiunto e cresca il benessere di quei popoli. Il dialogo deve prevalere sulle contrapposizioni.
La democrazia, oggi, non vive solo all’interno degli Stati nazionali: sarebbe impotente rispetto ai processi del mondo globale.
Abbiamo bisogno di rinnovare le istituzioni che presiedono alle relazioni tra i popoli: in primo luogo è decisiva una riforma dell’ONU, che renda il Consiglio di Sicurezza espressione delle varie aree mondo, superando l’antidemocratico privilegio del diritto di veto, riservato ai cinque membri permanenti.
Il dramma della Siria e l’impotenza della comunità internazionale si spiega anche così.
Nel nostro continente la priorità è l’Unione Europea: qui si gioca il futuro della democrazia, anche nelle singole nazioni. Nessuno Stato europeo da solo sarà protagonista nelle scelte del XXI secolo: può esserlo l’Unione Europea, se abbiamo la volontà di farla vivere come grande democrazia sovranazionale, come Stati Uniti d’Europa.
Il premio Nobel per la Pace assegnato nel 2012 all’Unione deve spronarci per muovere verso questa prospettiva. Solo così l’Europa potrà esercitare una leadership che contribuisca a diffondere ovunque i valori che da 60 anni ne sono a fondamento.

Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha indicato i passi da compiere: per le elezioni del nuovo Parlamento Europeo nel 2014, occorre avere una «procedura elettorale uniforme. Un sistema che consenta lo scambio di candidature e la presentazione di capilista unici nei vari Paesi da parte dei grandi partiti europei». Insieme «l’identificazione tra la figura del Presidente del Consiglio Europeo e il Presidente della Commissione Europea affidandone in prospettiva la scelta agli stessi elettori».
Il Presidente della Repubblica francese François Hollande, dal canto suo, ha recentemente spiegato alla stampa nazionale e internazionale alcune delle sue proposte. Di particolare importanza la realizzazione dell’unione bancaria, con una supervisione affidata alla BCE; un più forte coordinamento politico dei paesi della zona euro e una integrazione solidale tra quelli dell’Unione. Per il Presidente della Francia “l’unione politica è la tappa che seguirà l’unione di bilancio, l’unione bancaria e l’unione sociale”: anche per Hollande cruciali saranno le elezioni europee del 2014. L’avvenire dell’Unione sarà la sfida di quel confronto elettorale.

2) RELIGIONE E POLITICA OGGI
La dimensione pubblica delle religioni è un dato: basta saper guardare il mondo intorno a noi. Può essere una ricchezza per la convivenza nella società e per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni al pluralismo religioso e delle culture. È il contributo che l’Europa –   per l’esperienza che qui viviamo – può dare agli altri continenti, in particolare ai nostri vicini dell’Africa. Garantire spazi di libertà e di pluralismo non può significare rinunciare ad affermare, nei confronti di tutti, i valori irrinunciabili dei diritti umani e della laicità, intesa quest’ultima come uguaglianza di ogni cittadino di fronte allo Stato, senza discriminazioni fondate sull’appartenenza ad una determinata cultura, religione o etnia.
La libertà religiosa è parte costitutiva, inseparabile dalla libertà senza aggettivi.
È indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un nuovo umanesimo. La politica, nella sua autonomia – e rispettando l’autonomia delle religioni –  ha il dovere di creare, per ciò che le compete, le condizioni che aiutino lo sviluppo di un confronto positivo. Essa può farlo rimuovendo le cause di conflitto e di sfiducia tra i popoli, a cominciare dal bacino del Mediterraneo; dando una giusta soluzione ai diritti del popolo palestinese ad avere un suo Stato e a quelli di Israele a vivere in stabilità e sicurezza; avviando uno sviluppo più giusto; realizzando infine politiche di inclusione per gli immigrati.

Mediterraneo
“Il centro del mondo si è spostato nel Nord Africa” afferma Tahar Ben Jelloun, nel suo libro La rivoluzione dei gelsomini in cui parla della primavera araba. “Cadono i muri di Berlino… più niente sarà come prima in questo mondo arabo” .
Il Mediterraneo rappresenta un punto nodale per l’avvenire del pianeta. Qui si gioca una partita decisiva per la pace; per una cooperazione che, ponendo al centro la persona e l’ambiente, assicuri a tutti i popoli una credibile prospettiva di sviluppo e giustizia; qui può essere sconfitto o viceversa divenire il tornante della storia del XXI secolo quello “scontro di civiltà” che ha bisogno, per affermarsi, di ridurre le grandi religioni a ideologia delle singole nazioni o dei fondamentalismi.
Anche per questo il contributo delle religioni alla pace, all’incontro tra diverse etnie, che si affacciano su un medesimo mare, è più che mai indispensabile.
Nel Mediterraneo il continente africano misura le sue potenzialità, le sue contraddizioni e arretratezze con l’opulenza, attraversata da disuguaglianze e povertà vecchie e nuove, dei paesi europei sviluppati. Una rinascita del nostro Mediterraneo non sarà compiuta né di beneficio all’insieme dei suoi popoli, se non verrà posta fine alle tante crisi e conflitti, che continuano a sfregiarlo.

Primavera araba
La primavera araba può essere l’occasione tanto attesa per raggiungere insieme questi traguardi. Nessun obiettivo di pace, di libertà, uguaglianza è possibile senza o contro la democrazia.
I paesi del nord Africa stanno decidendo in questi mesi del loro futuro dopo essere passati attraverso rivoluzioni talvolta sanguinose. I delicati equilibri che si stanno instaurando fra le diverse anime che hanno guidato le rivolte, ed i governi che si sono formati, decideranno anche del futuro del Mediterraneo e, inevitabilmente, condizioneranno l’avvenire dell’Europa.
Ciò che è accaduto in tutta l’area del Maghreb e del Medio Oriente, le violenze, gli scontri che vediamo ancor oggi in Siria sono impressionanti. Aree geograficamente prossime, sono attraversate da tensioni profonde. Non dobbiamo però ignorare il potenziale che si è manifestato in quelle piazze riempite soprattutto dai giovani: su di esso dobbiamo scommettere per dar vita ad un futuro migliore.
L’Occidente, e in particolare l’Europa, hanno mostrato spesso la loro incertezza, oscillando tra la spinta istintiva ad appoggiare rivolgimenti democratici e il timore che la sovranità restituita ai cittadini potesse far vincere l’intolleranza, condurre a regimi autoritari.
L’Occidente che riconosce solo se stesso, la sua cultura, le sue priorità economiche e tratta gli altri popoli e continenti come subalterni, smarrisce la via del futuro, si isola e condanna se stesso alla perdita di ogni prospettiva.
Non si deve aver paura di un Nord Africa libero e democratico, né temere un possibile spostamento dell’asse delle relazioni dal Nord Europa al Mediterraneo. È necessario favorire scambi di conoscenze, forme concrete di cooperazione, sostenere il percorso di transizione democratica di questi Paesi.
Il Mediterraneo sarà sempre più affidato alla nostra responsabilità: gli Stati Uniti non vogliono né sono più in grado di esercitare una delega in nostro nome. L’Africa – e in primo luogo il Nord Africa – sono il primo banco di prova di un’Europa che non voglia essere “un nano politico”, che intenda cooperare per estendere diritti umani, sconfiggere il sottosviluppo, la distruzione dell’ambiente, i fondamentalismi e la violenza terroristica.
Il peso del Nord Africa è crescente.
Nei prossimi quarant’anni la popolazione mondiale aumenterà di 2 miliardi: gran parte nascerà in Nord Africa e Medio Oriente.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 la sua popolazione ammonterà a oltre 300 milioni: già ora più del 40% ha un’età tra i 15 e i 24 anni, con un tasso di disoccupazione giovanile attorno al 28%, il doppio di quella mondiale.
Anche per questi paesi, nei prossimi anni, la ricerca di un posto di lavoro sarà la sfida da vincere: da soli nessuno può farcela.

3) FORMAZIONE CLASSI DIRIGENTI E COOPERAZIONE COMPLESSIVA
Per allontanare dal futuro di tanti giovani lo spettro della disoccupazione, dobbiamo creare relazioni sempre più salde tra i nostri paesi, fondandole sulla fiducia reciproca, la volontà di collaborare per il diritto al lavoro, uno sviluppo equilibrato e sostenibile.
La formazione sarà la via maestra. In questo quadro diventa prezioso, una speranza di futuro, il progetto di “Rondine Cittadella della Pace” per la formazione di una nuova classe dirigente per la Sponda Sud del Mediterraneo. Nel borgo medievale di Rondine, vicino ad Arezzo, giungono ragazzi provenienti da tanti paesi in conflitto, prima dai Balcani, dal Caucaso, dal Medio Oriente, ora anche dall’Africa. Condividono il tempo della loro formazione con altri giovani, che erano abituati a considerare estranei, talvolta addirittura “nemici”; lo stare insieme, il dialogo, fa scoprire con la concretezza delle sfide da affrontare la comunanza di un destino, sperimentare la solidarietà, l’impegno per dar vita ad un mondo più giusto. Muta la coscienza del loro compito personale e di quello con cui contribuire alla storia dei loro paesi e della comunità umana. Saranno donne e uomini decisi a “costruire ponti e ad abbattere muri”. Queste sono le classi dirigenti di cui abbiamo bisogno, che dobbiamo impegnarci a formare.
È l’attività più importante che possiamo svolgere, quella che realizzerà risultati non precari. L’Italia vuol dare il suo contributo grazie al lavoro di Associazioni come Rondine, al sostegno di istituzioni nazionali e locali.
Tullio de Mauro ha scritto che «una classe dirigente male alfabetizzata, non aggiornata, è la rovina di un paese, molto più di un crollo della Borsa».
Vogliamo per il Nord Africa, per i Balcani, per i nostri paesi, una classe dirigente consapevole, padrona delle conoscenze, artefice della costruzione della democrazia, dell’affermazione dei diritti umani, di una pace giusta e stabile.