Il caso Sallusti ha suscitato una grande attenzione e un vivace dibattito anche su internet. Al direttore del Giornale è stata comminata una pena di 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata. L’articolo giudicato diffamatorio era apparso su Libero nel 2007 e firmato con uno pseudonimo: solo da pochi giorni si è appreso che l’autore era Renato Farina. Il direttore responsabile della testata, che era Alessandro Sallusti, è stato condannato per omesso controllo.
La vicenda ha riportato a galla il dibattito sulla opportunità che si punisca col carcere la diffamazione a mezzo stampa. È bene sottolineare che il legame tra Sallusti e la questione giuridica è solo occasionale: il dibattito si trascina da diversi decenni, ha riguardato anche altri giornalisti – un recente esempio è quello che si riferisce ad un redattore e al direttore responsabile del quotidiano Alto Adige, condannati in primo grado a 4 mesi di reclusione – ed è stato oggetto di diversi disegni di legge, mai approvati. La pena del carcere è prevista da una norma del ‘Codice Rocco’, approvato durante il fascismo.
Io ritengo che i contenuti sostenuti da Sallusti siano sbagliati, propagandistici e ideologici, con toni spesso intolleranti e aggressivi. Ma sono convinto che un giornalista non debba andare in prigione per una notizia o una opinione sbagliata e diffamatoria. Ciò è in contrasto con la libertà: non quella dei giornalisti, ma di noi tutti. E incrina la tenuta della democrazia. È giusto e doveroso che chi ha sbagliato venga punito con una sanzione pecuniaria, anche forte se la responsabilità è grave.

L’Alta Corte di Strasburgo più volte si è pronunciata in tal senso, ritenendo che norme come la nostra condizionano e limitano la libertà del giornalista: ne risulta ferita la libertà di opinione ed espressione. E dunque – lo ribadisco – la libertà di ogni cittadino. Tale norma inoltre è senza dubbio in contrasto con l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Per questi motivi, insieme al senatore Gasparri, ho presentato un Ddl che mira a modificare la norma del codice Rocco. Nel testo in discussione al Senato intendiamo anche rafforzare una regola già prevista: la persona diffamata deve avere il diritto di vedere pubblicata, entro pochi giorni, una rettifica con pari rilevanza rispetto all’articolo “incriminato”.

Ora è importante che il Parlamento approvi quanto prima una legge. A questo scopo è fondamentale che ci sia l’apporto dei parlamentari, dell’associazione della stampa – che condivide i principi ispiratori del Ddl – del governo che ha già annunciato di voler dare il suo contributo, dei cittadini, perché sono in gioco i valori fondamentali della libertà e della democrazia.