INTERVENTO DEL VICE PRESIDENTE DEL SENATO VANNINO CHITI

WORLD E-PARLIAMENT CONFERENCE 2012 – GIORNATA CONCLUSIVA – ”CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA INTERNAZIONALE  DELLA DEMOCRAZIA – PROMOZIONE DELLA TOLLERANZA E DELLA PACE”

CAMERA DEI DEPUTATI
SABATO 15 SETTEMBRE

Celebrare in questa sede la Giornata Mondiale della Democrazia indetta dalle Nazioni Unite è motivo per collegare i temi del rafforzamento dei nostri parlamenti  e di una loro più efficace collaborazione – anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie – alla più vasta azione di promozione della democrazia, che si fonda su alcuni valori universali: la tolleranza, la convivenza fra religioni, culture ed etnie diverse, l’uguaglianza tra uomini e donne, l’impegno per la ricostruzione delle società sconvolte dalla guerra, prosciugando i fiumi di odio e ostilità.
La democrazia è il fondamento su cui è sorta e vive l’Organizzazione delle Nazioni Unite. È un valore in sé, che per realizzarsi completamente necessita di un grande coinvolgimento e una piena partecipazione della comunità internazionale, dei popoli e delle persone.
La democrazia, che ha vinto nel XX secolo le sfide dei totalitarismi di destra e di sinistra è oggi di fronte a nuove prove, anche al rischio di crisi. Del resto la democrazia, come la libertà non ci sono date una volta per tutte: devono essere difese, rafforzate, rinnovate. Le sfide del nostro tempo risiedono in una “globalizzazione” non governata, ma priva di ogni regola, e negli attacchi che vengono mossi dai populismi, dal fondamentalismo e dal terrorismo.
Si pensi all’attentato di Bengasi in cui è stato ucciso l’ambasciatore degli Stati Uniti, agli assalti alle ambasciate occidentali in Sudan, ai disordini avvenuti in Egitto, Libano e Tunisia: la violenza produce solo distruzione e terrore. È necessario che ci sia sempre il rispetto per i sentimenti religiosi delle persone, per ogni credo, ma bisogna anche chiedere fermezza a tutti gli Stati, a partire da quelli protagonisti della “primavera araba” che hanno aperto speranze di cambiamento, perché niente può giustificare questi atti di intolleranza.
Un libro, un film, banali, offensivi si possono criticare in modo fermo: non giustificano certo aggressioni e guerriglia.
Un ruolo decisivo per superare gli ostacoli alla transizione verso la democrazia deve essere svolto dalla comunità internazionale e dalle istituzioni sovranazionali. L’Italia, con l’Europa ha un ruolo primario da svolgere nel Mediterraneo: anzi, un dovere, vista anche la nostra collocazione geografica. Dobbiamo operare perché questo mare diventi un ponte di dialogo, fiducia reciproca, cooperazione.
Nel XXI secolo la democrazia non vive solo all’interno degli Stati nazione: anche dalla sua impotenza a fronteggiare processi di più vasta dimensione nasce il ripiegarsi dell’opinione pubblica in angusti confini individualistici e l’esplodere di faziosità, paure, intolleranza. La democrazia ha bisogno di istituzioni che la realizzino, in special modo a livello globale. Il nostro tempo richiede una nuova Onu, non più fotografia della seconda guerra mondiale, che superi l’antidemocratico diritto di veto dei cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e sia espressione delle varie aree del mondo: dell’Occidente e delle Americhe, dell’Asia e dell’Africa. Solo così si potranno affrontare le sfide climatiche e ambientali, la tutela ovunque dei fondamentali diritti umani.
Nel nostro Continente abbiamo il compito di costruire una democrazia sovranazionale, di dare prospettive concrete e forza ideale all’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa.
È necessario far compiere passi avanti all’Unione, renderla più efficace politicamente su temi come la sicurezza, le relazioni internazionali, l’ambiente, l’energia.
Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha di recente indicato i passi da compiere: per le elezioni del nuovo Parlamento Europeo nel 2014, occorre avere una ”procedura elettorale uniforme. Un sistema che consenta lo scambio di candidature e la presentazione di capilista unici tra Paese e Paese da parte dei grandi partiti europei”.
Inoltre, il Presidente della Repubblica ha sollecitato “l’identificazione tra la figura del Presidente del Consiglio Europeo e il Presidente della Commissione Europea affidandone in prospettiva la scelta agli stessi elettori”. Per me rappresentano i passi giusti da intraprendere.
La democrazia ha bisogno di valori comuni, condivisi, per vincere le sfide e abbracciare ogni paese del Pianeta: oggi si tratta di costruire un nuovo umanesimo, che abbia al centro la dignità della persona, l’uguaglianza almeno delle opportunità di vita, la pace. Senza democrazia non esistono né la pace né i diritti umani.
La democrazia è l’ordinamento che più di ogni altro garantisce la dignità della persona, la libertà e fissa dei limiti al potere e alla possibile invadenza degli Stati.
C’è una scelta con cui possiamo prendere vincente il nostro impegno: si chiama dialogo.
Il dialogo non ha alternative. Significa che nessuno ha solo da insegnare o da imparare, ma che insieme possiamo costruire un futuro più degno e grande per la famiglia umana.
Su questo terreno, a mio avviso, la politica, le culture e le religioni – nella loro autonomia – possono dar vita ad un confronto positivo su scala mondiale.
La politica può farlo rimuovendo le cause di conflitto e di sfiducia tra i popoli; avviando uno sviluppo più giusto, in grado di eliminare disuguaglianze insopportabili, quelle che oggi concentrano la gran parte delle ricchezze in gruppi ristretti.
Nell’epoca della globalizzazione, la religione – non già come fatto privato e individuale, ma nella sua dimensione collettiva – è presente, orienta la vita delle persone, è decisiva rispetto agli stili di vita, alla valorizzazione della dignità di ogni essere umano. È un compito della politica riconoscere la libertà religiosa, il dialogo interreligioso e interculturale, come fattori rilevanti delle società contemporanee, della loro coesione e civiltà.
Nel mondo globale è venuta meno l’identificazione delle religioni con una delimitata area geografica e viene progressivamente erodendosi il legame con le originarie etnie e culture.
È un dato di cui tener conto: se non vi sarà dialogo tra le religioni e le culture, contrasti e scontri si avranno non solo tra le nazioni, ma al loro interno: si sbricioleranno i legami che uniscono le società.
Dobbiamo aver chiaro un aspetto: i fenomeni di violenza politica o terroristica, in alcuni casi sostenuti da un uso strumentale e distorto delle religioni – fenomeni che pure esistono e in alcune aree si stanno moltiplicando in modo preoccupante – sono espressione di frange estremistiche. Il problema di fondo è che le religioni non ignorino quelle degenerazioni né si mostrino indifferenti, ma esprimano una severa, chiara condanna, contribuendo a isolarle e dunque a sconfiggerle. Ho apprezzato le parole di Papa Benedetto XVI a Beirut, ancora una volta forti e chiare contro ogni fondamentalismo, un appello accorato per un impegno comune – in particolare rivolto ai giovani cristiani e musulmani – a favore della pace. Quelle parole, credo, possono essere condivise da tutti, quale che sia la fede religiosa o la cultura alla quali si fa riferimento.
Con questo approccio, la religione può svolgere una positiva funzione nel superamento  dei conflitti: il riconoscimento reciproco tra le parti dopo una guerra, la volontà di riconciliazione rappresentano processi che richiedono, per affermarsi, un convincimento che impegna la ragione e il cuore. Allo stesso modo che costruire uno sviluppo fondato sulla giustizia, il primato della persona e la sostenibilità ambientale. Le religioni e le culture sanno parlare alla mente e alle coscienze.
Si torna ancora una volta a due aspetti decisivi: il dialogo e la democrazia. Senza di essi non è possibile immaginare stabilità, pacificazione, una positiva ricostruzione nelle regioni che hanno conosciuto scenari di guerra: dai Balcani all’Africa, dal Medio Oriente all’Asia.
La nozione stessa di pace oggi deve essere ripensata: essa non può non includere nel suo significato anche i concetti di giustizia e di riconciliazione. In questa prospettiva, gli Stati da soli non sono più sufficienti a garantire un giusto ordine internazionale, senza il quale non si avranno cooperazione e non violenza: le religioni e le culture hanno un ruolo primario e possono dare un contributo insostituibile, se la strada scelta è quella del reciproco rispetto e del dialogo.
È necessario che le religioni e le culture superino  incomprensioni e contrapposizioni del passato, dando vita a forme di intesa nel presente e per il futuro.
Le religioni hanno in comune quella che viene definita “regola aurea”: non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te stesso. Da qui, come base concreta, si può e si deve partire.
Un’ultima considerazione, prima di concludere.
Garantire – come è giusto e doveroso – spazi di libertà e di pluralismo culturale e religioso, non può significare rinunciare ad affermare, nei confronti di tutti, i valori irrinunciabili del rispetto dei diritti umani e della laicità, intesa quest’ultima come uguaglianza dei diritti civili e politici di ogni cittadino di fronte allo Stato, senza discriminazioni fondate sull’appartenenza ad una determinata cultura o religione.
Nel mondo contemporaneo il fondamento comune – che consente una convivenza dei pluralismi religiosi, culturali, etnici, territoriali – è costituito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Essa non è un valore dell’Occidente né può essere delimitata o riscritta sulla base delle differenti religioni, culture, etnie, continenti. La Dichiarazione dei diritti dell’Uomo è universale per definizione: è un riferimento di valori da condividere e attuare per un progresso dell’umanità e di ogni singola persona.
Non sono le Costituzioni, le leggi, le culture o i modi di vivere dei diversi paesi che possono condizionare l’attuazione dei diritti umani. È vero il contrario: la libertà di ogni nazione, gli orientamenti delle culture, delle stesse religioni, vanno valutati – dal punto di vista del destino comune di ogni popolo e dell’umanità – sulla base della loro maggiore o minore compatibilità con i principi contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti della Persona. Essa infatti incarna un sistema di valori da raggiungere, e che nessun paese può affermare di aver ancora realizzato appieno. È un sistema di valori verso il quale dobbiamo orientare il nostro cammino e lo sforzo di innovazione  nei nostri Paesi, per conseguire obiettivi di libertà, giustizia, solidarietà, promozione sociale, di inclusione di tutti i cittadini, senza discriminazione per le loro convinzioni.
È così per me che si costruisce e si rafforza la pace.