Michele Ciliberto, su L’Unità del 15 agosto, ha posto delle questioni, che pesano sulle sorti della democrazia. Leggo così la situazione: la democrazia, che ha vinto nel XX secolo le sfide dei totalitarismi di destra e di sinistra, è oggi a rischio di crisi, per come si sta realizzando la globalizzazione e per l’attacco da un lato dei terrorismi, dall’altro dei populismi. Le destre hanno governato la globalizzazione con l’ideologica del neo-liberismo: tutta la sovranità al mercato senza regole, la politica subalterna all’economia e quest’ultima alla finanza. É in questo crogiolo che si è sviluppato un individualismo egoistico, indifferente alle responsabilità, alla cultura, ai valori di solidarietà e tolleranza.

A volte dimentichiamo fatti di portata storica che incidono nella coscienza degli uomini: che nel più grande paese democratico, gli Stati Uniti, un candidato – George Bush – sia diventato la prima volta Presidente, senza aver vinto regolarmente le elezioni, ma per i voti decisivi non conteggiati a Al Gore, non ha certo rafforzato la democrazia nel mondo. Né contribuisce a diffondere una più avanzata civiltà democratica il permanere in molte nazioni della pena di morte. La seconda modernità non è affrontabile restringendo lo sguardo all’Italia: dobbiamo vederne le fragilità, talora più gravi, ma inquadrandole nelle tendenze generali. Solo così sarà possibile superarle. Bisogna ricostruire una cultura politica progressista; valori forti di riferimento, una capacità critica rispetto alla società, perché il futuro non è univoco né già scritto: dipende da noi. Senza coniugare uguaglianza, solidarietà, sostenibilità dello sviluppo con l’ambiente, la democrazia si impoverirà: diverrà una forma senza sostanza. La democrazia ha bisogno di istituzioni che la realizzino: compito nostro è quello di dare spessore ideale e priorità programmatica all’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa.

Il distacco dei cittadini dalle istituzioni è dovuto sia alla opacità delle differenze di valori e progetti tra le forze politiche in campo – così spesso appare – sia alle difficoltà della democrazia di incidere nelle scelte della nostra vita. Nel nostro tempo la democrazia non vive solo all’interno degli stati nazione: anche dalla sua impotenza nasce il ripiegarsi dell’opinione pubblica in angusti confini individualistici e l’esplodere di faziosità, paure, volgarità. In Italia le fragilità discendono anche dal trascinarsi di incompiutezze storiche: quella rivoluzione intellettuale e morale per rinvigorire la nostra società civile, già ritenuta essenziale da uomini come Gramsci e Gobetti, non è stata mai realizzata, neppure alla caduta del fascismo. Su queste debolezze, sulla sottovalutazione della funzione fondamentale dei valori – a partire da quelli scritti in Costituzione – sul diffondersi della globalizzazione neo-liberista, si è affermato il berlusconismo e si affacciano potenti – a destra come a sinistra – le spinte e le sirene del populismo. Di nuovo siamo oltre un caso italiano. Negli stessi social network, passano contenuti di segno diverso: il 90% di essi, come certificano tanti studi, è determinato dal 10% dei frequentatori, non a caso però, dal momento che si tratta dei cosiddetti “influenzatori”, una professione specifica, una presenza organizzata. In Italia, sulla rete, gli “influenzatori” pro Grillo o Di Pietro – e le loro sponde in alcuni giornali – promuovono crociate contro la politica, il Parlamento, contribuendo con l’ossessione dei contenuti – anche per i ritardi di risposte efficaci – ad un distacco dalla democrazia di settori di cittadini e con la violenza verbale ad un imbarbarimento del confronto. Sono queste impostazioni che demonizzano la mediazione, etichettandola come perenne inciucio.

Anche parole d’ordine come rottamazione, che recano in sé non la spinta ad un rinnovamento più rapido, ma uno spregio della dignità delle persone, non sono forse penetrate con discreto successo nel nostro mondo? É attorno alle sfide per costruire un nuovo umanesimo ed un progetto di società che abbia al centro la dignità della persona, l’uguaglianza almeno delle opportunità di vita, la sostenibilità dello sviluppo, la pace, che si rende possibile e necessario l’incontro tra forze politiche progressiste, culture, fedi religiose preoccupate del destino dell’uomo. Ed è per questo che abbiamo voluto il Pd: come casa comune di tutti i progressisti, protagonista del rinnovamento della democrazia.