Leggendo alcune dichiarazioni di esponenti del Pdl, è netta la sensazione che in quel partito la confusione regni sovrana. Dopo lo strappo al Senato sul semipresidenzialismo, viene proposto ora, a cose fatte, un percorso condiviso e si accetterebbe anche il referendum.
Insomma: prima si rompe la tela, poi si inventa un rammendo.

La Costituzione non è una tela e le rotture lasciano tracce indelebili nei rapporti politici, prima ancora nella serietà e affidabilità degli interlocutori. Detto questo non c’è solo il problema del nuovo Presidente della Repubblica e di una sua elezione a termine, non possibile né formalmente consentita: c’è anche il problema del governo che nascerà. Un’elezione diretta da parte dei cittadini del Presidente della Repubblica nel corso della prossima legislatura, richiederebbe le dimissioni anche del Presidente del Consiglio e una nuova consultazione elettorale. Un capolavoro di instabilità di cui l’Italia non ha davvero bisogno, nella temperie della crisi che, con l’Europa, stiamo attraversando. Diciamolo con chiarezza: se si vuole ricostruire un filo di rapporto serio tra le forze politiche, occorre bloccare alla Camera lo sfregio alla Costituzione prodotto dall’arroganza del rinato patto Pdl-Lega: l’esito, nel merito dei contenuti, è impresentabile. Basta guardare il cosiddetto Senato Federale, un “mostro istituzionale”, con unito l’articolo 20 che dà vita ad una commissione paritetica con le Regioni per il parere sui casi di scioglimento dei Consigli o rimozione dei presidenti; o il semipresidenzialismo che non affronta i nodi dell’equilibrio da ricostruire tra i poteri o ancora la questione “tutta italiana” del conflitto di interessi. In questa legislatura si può ancora fare una buona legge elettorale, che superi il porcellum; una riduzione del numero dei parlamentari; attuare l’articolo 49 della Costituzione, per dare infine ai partiti una natura giuridica. Si affidi al prossimo Parlamento il resto e cioè il confronto sulla forma di governo – se parlamentare o semipresidenziale – la riforma del Parlamento, con il superamento del bicameralismo perfetto, i modi per realizzarli. Solo così sarà possibile evitare cortocircuiti avventuristici tra improvvisazioni costituzionali, stabilità dei governi espressi dalle prossime elezioni e ruolo del futuro Presidente della Repubblica. Scorciatoie non ve ne sono: le cosiddette colombe del Pdl, quanti avevano contribuito a definire le riforme approvate in Commissione Affari Costituzionali del Senato, avrebbero fatto meglio ad opporsi al colpo di mano che, con la compiacenza della solita Lega, ha affossato un progetto condiviso, piuttosto che trasformarsi oggi in improbabili Penelopi.

C’è bisogno di cambiare strada e, se ve ne è il coraggio politico, di ripristinare le regole di un confronto serio. Altrimenti la stessa idea di semipresidenzialismo sarà definitivamente archiviata e la coalizione che si presenterà con il Pd alle elezioni politiche dovrà farsi carico di indicare e poi attuare, con rigorosa coerenza, una proposta di riforma delle istituzioni e di aggiornamento – non stravolgimento – della nostra Costituzione.
Non si può riscrivere la seconda parte della Costituzione in modo superficiale, passando sopra la testa dei cittadini. Né la Costituzione può essere merce di scambio per la resurrezione di alleanze travolte dal fallimento nel governo. È questo il peccato o se si vuole l’illusione di Pdl-Lega.