Ok al modello Bersani, anche perché nelle condizioni attuali «è forse l’unica soluzione praticabile». Ma il Pd deve far sì che, come succede in Spagna e Francia, «sia il leader del partito più forte della coalizione ad essere naturalmente il candidato premier.
Vannino Chiti, vicepresidente del Senato e uomo di punta del Pd toscano, sarà a Firenze lunedì prossimo (allo Stensen, 17.30) a parlare proprio di riforme con Rosy Bindi, Sandra Bonsanti di Libertà e Giustizia, il costituzionalista Paolo Caretti e Ugo De Siervo, Presidente Emerito della Corte Costituzionale.

Un incontro a pochi giorni dall’annuncio di Bersani: primarie aperte per il candidato premier del centrosinistra. E Bersani ha lanciato anche un aut aut al Pdl sulla riforme, da fare entro tre settimane.
«Soprattutto per la legge elettorale. C’è un obbligo morale del Parlamento a farla, c’è già un’intesa di massima sulla riduzione immediata dei parlamentari, meno 20 per cento, e un sistema 50 per cento con collegi elettorali, il resto col proporzionale e sbarramento al 5 per cento. Vedremo se c’è senso di responsabilità del Pdl per concludere la riforma».

Mentre, per la riforma isti-tuzionale, lei è molto più dubbioso sul modello semi-presidenziale.
«Sono molto contento che Bersani abbia detto quello che sostengo con forza: che il Pd è per un governo parlamentare forte. Non ritengo il semipresidenzialismo un modello antidemocratico. Ma se si vuole andare ad un cambiamento radicale, non si può farlo sulla testa dei cittadini. Bisogna che siano coinvolti».

Insieme a Rosy Bindi, ha proposto un referendum.
«Se il Pdl non ha fatto quella proposta semipresidenziale per fare confusione, come con la Bicamerale presieduta da D’Alema, dopo la riforma della legge elettorale troviamo una strada comune per le riforme. Secondo me, va introdotta la possibilità di un referendum propositivo Costituzionale e l’obbligo, cambiando l’articolo 138 della Carta, di referendum confermativo, sempre. I cittadini potranno scegliere semipresidenzialismo o governo parlamentare forte. La Costituzione è loro, non dei partiti».

Non è una forzatura?
«In Francia, quando si è passati alla V Repubblica, le riforme di De Gaulle sono state sottoposte a referendum due volte. Qualcuno pensa di fare una riforma così importante senza chiederlo ai cittadini? È follia. Il semipresidenzialismo comporta una riorganizzazione di tutti i poteri dello Stato. Un presidente della Repubblica che diventa Capo del Governo non può presiedere come ora il Csm, essere garante della Costituzione…».

Intanto Bersani lancia primarie aperte, ai partiti ma anche alla società civile. È d’accordo?
«Fare primarie di partito voleva dire chiedere il congresso anticipato. Penso che il Pd non abbia bisogno di rifare una discussione su chi è il candidato premier, ma di concentrarsi sulle priorità di governo per uscire dalla crisi e su queste costruire le alleanze. Ci sia prima un percorso che definisca le priorità programmatiche, e chi si trova d’accordo si allea. Nei prossimi mesi, su queste proposte di programma di governo, ci si confronti con la società».

Matteo Renzi, che a queste primarie pare voglia partecipare, ribatterebbe: idee da partito novecentesco.
«Sarebbe meglio Firenze tornasse ad essere un po’ novecentesca. Tornasse ai tempi di La Pira, di Fabiani, Balducci e Milani. Firenze non sta più parlando di grandi temi culturali, etici, programmatici. Si parla solo di primarie, che non interessano più neanche ai fiorentini, soprattutto ai progressisti. Abbiamo fatto una scommessa su un’amministrazione buona e giovane perché facesse sognare sul futuro, non perché facesse rimpiangere il passato».

Passato o non passato, se si fanno le primarie è perché soprattutto Renzi le ha chieste per le leadership.
«Renzi ha chiesto in primis le primarie del Pd, se ricordo bene. Non di coalizione».

Vanno bene anche quelle di coalizione?
«Ci sono sempre state. Perché siano primarie serie penso che ci debba essere una netta impostazione programmatica, un patto vero per governare insieme. Vorrei però che in questo Paese si condividessero alcuni principi cardine della democrazia: che il candidato premier lo fa naturalmente il leader del partito più grande della coalizione».

A Milano, Cagliari, in Puglia, in qualche modo a Firenze, le primarie sono state veramente aperte. Ed hanno vinto i candidati «non ufficiali», o non del Pd.

«Anche queste saranno di coalizione e aperte. E chi le vince sarà il candidato della coalizione. Ma detto questo, è chiaro che questo schema avviene solo in Italia, è contingente alla nostra situazione difficile. Io spero che in futuro il Pd faccia da solo le primarie per scegliere il proprio candidato premier.

In questa situazione, con queste (poche) regole note, consiglierebbe a Renzi di candidarsi comunque?
«Non do consigli a nessuno, neanche a me stesso. Comunque,nessuno me li ha chiesti. Ma mi consente di ricordare una cosa?».

Prego…
«A Firenze, fui nominato io commissario delle primarie. E introdussi il doppio turno se nessuno avesse superato il 40 per cento. Questo per evitare forme di populismo organizzato, come è successo in alcuni Comuni dove il candidato vincente della primarie — e perdente alle elezioni — è stato indicato dal 27 per cento degli elettori della coalizione. Invece, il Partito socialista francese ha utilizzato lo stesso metodo di Firenze. Dandosi regole trasparenti e chiare».

Marzio Fatucchi