Allora, ci siamo: il ddl sulle riforme istituzionali (approvato dalla commissione Affari Costituzionali di palazzo Madama il 29 maggio), sarà all’esame dell’aula del Senato a partire dal prossimo giovedì 7 giugno. Quindi fra qualche giorno (entro il termine di lunedì 11) il Pdl, secondo quanto hanno preannunciato Berlusconi e Alfano in conferenza stampa, presenterà l’emendamento per trasformare in quattro e quattr’otto (nel breve volgere di pochi mesi) la nostra Costituzione, e approvare il semipresidenzialismo, con l’elezione popolare del Capo dello Stato. Una riforma epocale “grande, grande, grande” come da anni sogna il Cavaliere!

Ma davvero è possibile fare un’operazione politica così acrobatica e stupefacente?
Chiedo a Vannino Chiti, Pd, vicepresidente del Senato (da poche settimane ricopre il ruolo di vicario di Renato Schifani). Toscano, è stato presidente della Regione e ministro nel secondo governo Prodi. Mi dice: “Quando si discute della Costituzione bisogna avere rigore e prudenza. Non si può usarla per giochi di tattica politica. Perchè a me pare che il vero obiettivo dell’ultima trovata di Berlusconi e di Alfano sia quello di far naufragare sia la riforma istituzionale (a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari), sia una nuova legge elettorale che sostituisca il ‘porcellum’. Il semipresidenzialismo non è un tabù, anche se preferisco un governo parlamentare forte, ma – se vogliamo essere seri – non può essere infilato con un semplice emendamento nel testo della riforma all’esame del Senato.
Non si tratta di un aggiornamento della Carta, ma di un mutamento profondo e radicale del nostro sistema politico. Una scelta così importante non  può essere discussa, in modo frettoloso, a 8-10 mesi dalla fine della legislatura. Ci vuole un preciso mandato dei cittadini attraverso il voto. Cioè, per approvare il semipresidenzialismo è necessario che il Parlamento, attraverso una legge specifica, faccia eleggere un’Assemblea costituente (con il sistema proporzionale), che ridefinisca i poteri del Capo dello Stato e presenti il risultato dei lavori all’approvazione dei cittadini, con un referendum. E’ indecente pensare ad uno scambio tra legge elettorale (a doppio turno) ed elezione diretta del Presidente. Siamo davanti a questioni costituzionali serie, non ad improvvisazioni populistiche. La Costituzione non appartiene ai partiti, vecchi o nuovi, ma è di tutti i cittadini”.

Lo stesso Giorgio Napolitano, pur precisando che egli nel dibattito in corso è, naturalmente, “solo uno spettatore” , esprime i suoi fondati dubbi: “Sulla figura del Presidente si può discutere, ma bisogna vedere quali equilibri si creano in luogo di quelli che si superano ed accantonano”.
Appunto. Mi dice ancora Chiti: ” Il semipresidenzialismo è improponibile non solo perché non c’è il mandato dei cittadini, ma perché tra giugno e gennaio prossimo, il Parlamento dovrebbe approvare la riforma, rivedere le norme sull’equilibrio dei poteri tra organi dello Stato, varare i decreti attuativi, e anche concordare una legge sul conflitto di interessi (lo stesso segretario Alfano riconosce che è necessaria). Pensare di realizzare tutto ciò in pochi mesi, vuol dire essere fuori dal mondo politico e istituzionale!”. “Un paio di anni fa avevo condiviso un’idea lanciata da Massimo D’Alema per tenere, prima di cominciare a fare le riforme costituzionali, un referendum propositivo tra i cittadini, che avrebbero dato indicazioni sulle vie da seguire. Naturalmente si dovrebbe dare forma giuridica a questa idea: ci vuole una legge che istituisca il referendum propositivo”.

Tuttavia, negando il consenso all’emendamento sul semipresidenzialismo, per il Pd sarà più difficile formulare obiezioni o magari addirittura respingere qualche profilo della riforma istituzionale che va in aula la settimana prossima e che è molto vasta, impegnativa e anche non del tutto condivisibile, per la verità. Libertà e Giustizia, come lei sa, si oppone fermamente alla riforma di segno gollista sull’elezione del Presidente, ma respinge anche la scelta di chiamare questo Parlamento di nominati, non autorevole, a modificare la Costituzione (più poteri al premier e al governo, sfiducia costruttiva, superamento del bicameralismo perfetto, etc.). E per di più, se la maggioranza sarà larga, non sarà possibile il referendum confermativo. Insomma, non c’è il rischio di cadere in una trappola?
“All’inizio del percorso riformatore io stesso avevo manifestato favore per la immediata riduzione del numero dei parlamentari e l’approvazione di una nuova legge elettorale (sono temi collegati). Pensavo inoltre che fosse utile approvare alla Camera e Senato una mozione di indirizzo, per spiegare le linee di un’ampia riforma della seconda parte della Costituzione, lasciandone l’attuazione al governo che nascerà nel 2013. Invece la scelta è stata diversa e si va all’approvazione della riforma in questa legislatura. Ma se adesso si cambiano le carte in tavola e si vuole aprire il capitolo di un semipresidenzialismo confuso e populista, allora ognuno di noi riprenderà la propria libertà di pensiero, di iniziativa e decisione”.

Quindi, in aula al Senato che cosa potrà accadere al momento delle votazioni sulla riforma istituzionale, dalla settimana prossima?
“Il progetto di revisione costituzionale che ci è stato trasmesso dalla commissione può essere approvato in aula entro il 15-20 giugno. Ma, attenzione: l’emendamento sul semipresidenzialismo, quando sarà presentato, potrebbe essere varato con i voti del Pdl e della Lega. Se ciò avverrà non resteremo in silenzio…
E non dubito neppure per un momento che tutto il gruppo parlamentare Pd voterà contro l’emendamento di Berlusconi. Perché – lo ripeto – non è accettabile che si decida di modificare la Costituzione in modo radicale, senza un mandato chiaro dei cittadini. Sarebbe un regalo diabolico e mostruoso all’antipolitica. Dio acceca chi vuol perdere, Deus amentat  quos perdere vult ! “.

E aderire all’appello di LeG? Non andare nemmeno in aula ad ascoltare “gli sherpa e i gollisti” e presentarsi, ovviamente, solo per votare contro l’emendamento?
“No, bisogna invece  invece fare una battaglia a viso aperto, chiamando i parlamentari alla presenza, per dimostrare che teniamo fermi i valori ai quali siamo legati, anzitutto la fedeltà alla nostra Costituzione”.

In questo scontro politico aspro, che si svolge nelle aule parlamentari e fuori, che fine potrà fare l’ipotesi di cambiare la legge elettorale? O lei crede che si tornerà a votare con il ‘porcellum’ e con quali conseguenze per il sistema e la credibilità dei politici?
“Sarò sincero: se il paese andasse al voto, per la terza volta, con la legge ‘porcellum’, la ferita inferta alla democrazia in Italia sarebbe devastante. I cittadini si sono allontanati dalle istituzioni e dalla politica. La selezione dei parlamentari che viene compiuta dalla legge vigente è – diciamo così – preoccupante. Il Pd ne è consapevole, ne è convinto. D’altronde bisogna anche ricordare che votare con il ‘porcellum’ significa, al Senato, non avere una maggioranza certa e chiara. Noi dobbiamo restituire ai cittadini la sovranità, e la possibilità di scegliere i rappresentanti. La nuova legge elettorale deve vedere la luce entro ottobre: ci sono i tempi, e anche le soluzioni tecniche non mancano. Il problema è la volontà politica. Il centrodestra non accetterà il sistema maggioritario a doppio turno sostenuto dal Pd. Il modello di legge spagnolo, con circoscrizioni elettorali molto piccole, potrebbe essere la soluzione . Ma il Pdl oggi è allo sbando e non sappiamo quali sono i nostri interlocutori e come la pensano. Noi Pd faremo ogni tentativo, faremo di tutto, per modificare il ‘porcellum’. Ma da soli non abbiamo i numeri per approvare una nuova legge”.

di Francesco Palladino