La riforma delle istituzioni, a partire dalla riduzione del numero dei parlamentari, rischia ancora una volta di naufragare per responsabilità del Pdl. È probabile che questo sia il vero obiettivo dell’ultima trovata di Berlusconi: la proposta di inserire il semipresidenzialismo nella riforma della Costituzione all’esame del Senato. Un cambiamento di questa portata nella forma dello Stato non si fa con un semplice emendamento né è pensabile che possa essere portato a termine con serietà nel poco tempo rimasto a disposizione. Non si tratterebbe solo di varare l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, ma anche di stabilire i suoi compiti, quelli del Primo Ministro e di costruire i nuovi equilibri tra i poteri.
Questa proposta, avanzata improvvisamente, a otto mesi dalla scadenza della legislatura, può far saltare l’accordo tra i partiti che sostengono il governo Monti su: meno parlamentari, più poteri al Presidente del Consiglio, una prima differenziazione dei compiti di Camera e Senato. Significa voler impedire l’approvazione di una nuova legge elettorale che spazzi via il ‘porcellum’: per noi è preferibile un maggioritario a doppio turno, ma si può trovare un’intesa su un modello vicino a quello spagnolo. Pochi ricordano che attraverso un voto con la Lega sul semipresidenzialismo Berlusconi fece saltare a pochi metri dal traguardo, la Bicamerale presieduta da D’Alema. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, come dice il proverbio.Il Partito Democratico non considera il semipresidenzialismo un tabù, anche se personalmente preferisco un governo parlamentare forte. Ma un radicale cambiamento della Costituzione – e non più un suo aggiornamento – esige che vi sia un mandato preciso dei cittadini, attraverso il voto. Per approvare il semipresidenzialismo è necessario che il Parlamento, attraverso una specifica legge, faccia eleggere con il proporzionale un’Assemblea costituente e che l’esito dei suoi lavori sia poi sottoposto all’approvazione dei cittadini. La Costituzione non appartiene ai partiti, né vecchi né nuovi: è dei cittadini.
Ora, di fronte a noi, ci sono due strade: tener fede con coerenza agli accordi realizzati oppure concentrarci sulla riduzione del numero dei parlamentari e su una nuova legge elettorale. L’importante è non chiudere con un nulla di fatto o lasciare spazi a improvvisazioni poco serie.