Il disegno di legge di riforma del lavoro, in discussione in questi giorni al Senato, contiene una novità significativa, colpevolmente trascurata finora dagli organi di informazione: un primo passo importante per la diffusione della ”democrazia economica” nei luoghi di lavoro. Un emendamento presentato in commissione dai due relatori delega il governo a varare, entro nove mesi, ”uno o più decreti legislativi finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, attivate attraverso la stipulazione di un contratto collettivo aziendale e individuale”. Si tratta di un passo storico per abbattere una divisione mai del tutto eliminata tra imprenditori e lavoratori. I dipendenti potranno partecipare agli utili dell’azienda, detenerne quote azionarie, condividere le scelte strategiche, l’attuazione dei piani industriali e le politiche di gestione del personale e delle strutture; inoltre potranno avere anche dei rappresentanti nei consigli di sorveglianza. Se verrà attuata, questa “piccola rivoluzione democratica” potrà essere un formidabile strumento di rilancio della nostra competitività, un volano per lo sviluppo. Si pensi al modello della Germania, dove queste forme di partecipazione del mondo del lavoro sono in vigore da molto tempo: non è certo dovuto solo a queste scelte di democrazia economica, ma è un fatto che il paese è la locomotiva d’Europa con una produttività e salari ben più alti che da noi.

La democrazia economica facilita la coesione, rafforza il senso di appartenenza dei lavoratori all’azienda, dà più consapevolezza e motivazioni, rende più uniti attorno ad obiettivi comuni differenti responsabilità e ruoli del mondo del lavoro. Con queste nuove regole imprenditori, dirigenti, lavoratori saranno maggiormente in grado di condividere gratificazioni – anche economiche – e di affrontare eventuali difficoltà. Lo spirito che sta alla base della cogestione aziendale, che finalmente si cerca di introdurre anche in Italia, è lo stesso che deve guidare tutto il paese: solo con la coesione, con l’unità d’intenti tra tutte le componenti – senza ”guerre tra poveri” e egoismi distruttivi – potremo aprire una nuova stagione incentrata sulla giustizia sociale, su un nuovo sviluppo equo e sostenibile, sulla redistribuzione delle ricchezze e la centralità delle regole. È su questi valori che può trovare un fondamento la dignità di ogni persona.