L’aggressione a Genova all’amministratore delegato della Ansaldo, Roberto Adinolfi, ripropone i timori di una ripresa del terrorismo. La nostra società è attraversata da sofferenze e disagi profondi, che possono essere strumentalmente utilizzati dai fautori della violenza. Ma la violenza non conduce da nessuna parte, non ha a cuore nessuna causa: sa solo distruggere  e provocare dolori. Niente giustifica la violenza: ogni protesta, pur fondata, perde di valore se si lascia usare dal terrorismo.
Le parole chiave sono più che mai “coesione” e solidarietà. Tutte le politiche pubbliche devono essere indirizzate a ridurre e superare ingiustizie e disuguaglianze. Il pericolo di uno sfaldamento del tessuto sociale è reale: lo minano i modelli culturali sbagliati di questi anni, che incitano all’individualismo, la competitività crescente nella società mondiale e le profonde difficoltà economiche e occupazionali. In questi disagi si annida il rischio di un esplodere della violenza, il ritorno di una vera e propria frammentazione sociale.
È molto grave anche il susseguirsi degli episodi di violenza contro i lavoratori di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate. Guai a sottovalutarli. Il contrasto all’evasione fiscale – un malcostume e una illegalità che nel nostro paese assumono livelli inaccettabili – è una priorità. Se le azioni messe in campo dal sistema di riscossione si sono rivelate troppo dure verso chi – lavoratori e imprenditori – fa fatica a far quadrare i conti, è giusto intervenire sul piano normativo, cambiando o chiarendo i dispositivi di legge. I lavoratori delle agenzie del Fisco agiscono sulla base di quanto stabilito dalle leggi. Si possono prevedere maggiore gradualità e sanzioni più leggere, per non mettere in grandi difficoltà i cittadini indebitati col fisco, che tuttavia hanno fatto il loro dovere. Ma la violenza è inaccettabile, e deve essere respinto ogni tentativo di proteggere gli evasori. Se tutti pagano le tasse, sulla base dei loro redditi e patrimoni, sarà possibile ridurre il carico fiscale su ognuno. Non è uno slogan: è la verità. L’alternativa è chiudere i servizi pubblici, dalle scuole alla sanità, e sostituirli con prestazioni esigibili sulla base delle ricchezze possedute.

Serve la massima fermezza per stroncare il ritorno, sotto qualsiasi forma, dell’eversione. Ma non basta: è necessario promuovere con continuità i valori del dialogo e della democrazia. Bisogna trasmettere ai cittadini il senso di una missione comune: dalla crisi economica, sociale e culturale si esce con un di più di coesione, di responsabilità collettiva, di impegno anche personale per l’avvio di uno sviluppo nuovo, sostenibile e per un rinnovamento delle istituzioni della nostra democrazia.