Monsummano Terme – 25 aprile 2012

Saluto il Sindaco di Monsummano, Rinaldo Vanni il Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, Roberto Barontini, tutti voi qui presenti, cittadini, autorità, associazioni combattentistiche e della resistenza, del volontariato, sportive.
Voglio complimentarmi per questa bella manifestazione, una festa di popolo, come deve essere il 25 aprile, e non un incontro tra addetti ai lavori o tra esponenti delle istituzioni.
Il 25 Aprile è la Festa della Liberazione; per l’Italia la fine della guerra, della dittatura fascista, dell’occupazione nazista.
Perché questa Festa, ogni anno, con continuità, mentre le generazioni si susseguono e passano?
Pietro Scoppola ci ricordava che “i popoli, come le famiglie, hanno bisogno di date simbolo in cui riconoscersi e trovarsi uniti”.
E il 25 Aprile è una grande data, un simbolo forte di unità per il nostro popolo: una spietata dittatura, abbattuta; una fase di sofferenze, eccidi, oppressioni, di umiliazione della persona portata avanti dai nazifascisti, chiusa; l’Italia di nuovo unita; e dopo la fine della guerra, una grande Costituzione, la nostra.
Prima di tutto, una parola sulla memoria storica, sul valore della Resistenza che oggi può e deve unire gli italiani.
Un ricordo pieno di gratitudine e un riconoscimento, un attestato di onore perenne va a quanti combatterono per noi, per la dignità dell’Italia, la libertà, la democrazia; ai partigiani, a quanti nel nostro popolo li aiutarono e sostennero; al nuovo esercito italiano; al corpo dei volontari della libertà.
La scelta che allora fu compiuta, era quella giusta.
Grazie a loro molte nostre città vennero liberate  prima dell’arrivo degli eserciti alleati: così fu per Monsummano, il 4 settembre 1944 quando vi entrarono tre formazioni partigiane: Stella Rossa, Corallo, Faliero.
Ancora una parola sulla memoria: un pensiero commosso sulle  stragi, una violenza cieca, una barbarie che lascia ancora oggi sgomenti.
Basti pensare alla strage del Padule di Fucecchio, il 23 agosto 1944, con 175 civili trucidati, o alla Grotta Maona, in cui 4 cittadini furono torturati e uccisi.
Guai a dimenticare! Né può funzionare in questi casi la categoria del perdono. Il perdono è un atto personale, di straordinaria generosità umana.
Ma i crimini contro l’umanità non possono venire archiviati, non può esistere per essi una possibilità di amnistia. Devono avere una condanna severa, una sanzione inequivocabile, così da restare impressi nei cuori, nella memoria, perché non si ripetano mai più.
Già il nostro Paese ha mancato, negli anni immediatamente successivi alla guerra, al dovere di assicurare i responsabili  di tanti efferati crimini alla giustizia: è la triste vicenda del cosiddetto “armadio della vergogna”. Oggi si deve essere giustamente intransigenti: non per spirito di vendetta, ma per costruire insieme in Europa un futuro stabile di libertà, democrazia, piena affermazione dei diritti umani.
Nel trasmettere la memoria del valore della Resistenza e della Liberazione, occorre evitare la retorica: non bisogna dimenticare quell’area grigia di cittadini che, di fronte alle violenze del fascismo e all’instaurarsi della dittatura, dapprima rimase indifferente e passiva; poi assecondò l’isolamento o l’esilio all’estero di dirigenti e militanti antifascisti.
L’adesione ampia, di popolo, con l’avanzare delle rovine della guerra, e l’affacciarsi della sconfitta, all’azione partigiana e alla Resistenza cancellò quei cedimenti, ma non fu in grado – né poteva – di rimuovere   quella fibra molle presente nella nostra società, in parti del DNA del nostro popolo.
Ciò richiedeva quella riforma intellettuale e morale, di cui parlarono grandi italiani, da un secondo all’altro, da Mazzini a Gobetti, da Gramsci a Sturzo.
Una riforma che ancora ci manca.
La Resistenza, l’unità dei partiti che allora si realizzò ci ha dato la Costituzione: è non solo un grande lascito, è il fondamento della nazione, la carta della nostra dignità, il nostro poter essere protagonisti della costruzione dell’Unione Europea.
La Costituzione è antifascista e anti-totalitaria; segna i nostri diritti e i nostri doveri; fonda le libertà e la democrazia.
È attuale: quando ci indica il valore supremo della legalità; la sobrietà nella vita pubblica e nelle istituzioni; la centralità della persona e della sua dignità; la ricerca della giustizia sociale; l’obiettivo della pace, dell’affermazione della non violenza.
Riformare lo Stato, con la riduzione del numero dei Parlamentari, con il superamento del bicameralismo perfetto, differenziando cioè la funzione del Senato e quella della Camera, con una nuova legge elettorale, che faccia contare i cittadini nella scelta della maggioranza di governo e dei loro rappresentanti nelle istituzioni, è muoversi in coerenza con la nostra Costituzione e i suoi valori.
Allo stesso tempo la Costituzione ci impone di saper accogliere chi viene da noi, in modo legale, a lavorare e vivere, quegli immigrati che sono nuovi cittadini italiani, con uguaglianza di diritti e doveri. Si impoverisce la democrazia se milioni di persone, legalmente residenti da noi, non hanno neppure il diritto di voto alle elezioni amministrative; si offende la Costituzione se i bambini che nascono in Italia, figli di genitori extra-comunitari, non possono ricevere la cittadinanza  del nostro Paese.
Bisogna rifiutare e combattere intolleranze, razzismi vecchi e nuovi, non sottovalutarli.
Oggi viviamo una fase di crisi profonda, che colpisce soprattutto l’Occidente:  non ne usciremo, senza cambiare. C’è necessità di rigore unito a giustizia; senza risanamento non c’è futuro. L’Italia non può andare avanti pagando ogni anno 80 miliardi di euro di interessi sul suo debito: così rubiamo il futuro ai nostri figli, alle giovani generazioni. Ma al tempo stesso c’è bisogno di sviluppo,  uno sviluppo nuovo e sostenibile, di realizzare concretamente il diritto al lavoro. nell’Unione Europea ci sono 24 milioni di disoccupati: sono la conseguenza della crisi  e del modo sbagliato di affrontarla, separando il rigore dei bilanci da interventi per il lavoro. Non c’è poi da stupirsi se di fronte a tale esiti si ripresentano, qua e là, nei diversi paesi, movimenti  e partiti fascisti, xenofobi e anti-europei.
Abbiamo invece bisogno di più Europa, di un’Europa federale, non paralizzata dall’interventismo egoistico dei singoli governi nazionali. E abbiamo bisogno di più politica, anzi di un di più, di buona politica. 
Piero Calamandrei, uno dei nostri Padri costituenti diceva: “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, lo lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, (…) la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”.
Ha fatto bene il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano a mettere in guardia contro forme di contrapposizione  e di ostilità nei confronti della politica, contro i partiti, contro il facile qualunquismo che portano a dire: “tutto è sporco tutti sono uguali”.
Non è così! I partiti hanno compiuto degli errori e devono saperli correggere: chi è colpevole deve essere allontanato. Se esistono aree di marcio devono essere estirpate con decisone. Ma occorre stare in guardia contro populismo, demagogie: i partiti personali hanno mostrato lati oscuri e sono giunti al fallimento. I partiti devono assicurare al loro interno partecipazione democratica e trasparenza nelle decisioni, nella stessa scelta dei candidati alle varie elezioni.
Ma senza i partiti una democrazia non funziona: prevalgono i poteri forti o, se questi mancano, i poteri oscuri. Certamente non si affermano le istanze di giustizia sociale di uguaglianza né si rafforza la vita democratica.
Niente giustifica comunque il venir meno al nostro dovere, in quanto cittadini, di un impegno politico, civico. Come avviene in altri paesi, dobbiamo intanto introdurre già nelle scuole elementari lo studio e la conoscenza della nostra Costituzione, a cominciare dai suoi principi fondamentali.
E dobbiamo tenere viva e diffondere la voglia di partecipare alle scelte pubbliche.
Permettetemi perciò di concludere con una citazione che mi sembra perennemente valida, da scolpire nelle menti e nei cuori dei cittadini italiani ed europei di ogni epoca.
È una frase di Socrate, nei Dialoghi di Platone, che a me pare attraversi i secoli: “La pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi”.
Non dimentichiamocelo mai!

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