Badia Fiesolana, Sala degli Affreschi – 24 aprile 2012

Non sembra passato così tanto tempo: già vent’anni, da quando Padre Balducci non è più con noi. Un po’ perché il tempo lo viviamo come una nostra misura soggettiva e tende ad accorciarsi, lo sentiamo come più breve, via via che diventiamo da bambini prima adulti e poi anziani.
Ma oltre a questa legge della vita, dipende dal fatto che per chi lo ha conosciuto, ha avuto occasioni non espisodiche di incontro, Ernesto Balducci è presente: non solo con le sue riflessioni, libri, discorsi, iniziative, ma proprio come immagine, riferita a episodi, ricordi che ci accompagnano, a volte si affastellano. Quel timbro della sua voce, che ora abbiamo ascoltato da immagini di repertorio resta presente dentro di noi.

Il primo incontro è stato non tra noi, ma mio con lui: mi spiego.
Era il ’63 o ’64: l’autunno. Mi preparavo a frequentare il quarto ginnasio, l’avvio del classico.
Venne a parlare a Pistoia di Giovanni XXIII e del Concilio, ad un teatro stracolmo di studenti.
Con la sua passione e allora la sua speranza.
Più tardi, tante occasioni di confronto, dialogo, iniziative: anche di discussioni, su punti su cui potevano esserci, c’erano a volte, valutazioni diverse. Ne ricordo una: quando scrissi da segretario regionale una lettera ai Vescovi della Toscana, a suo giudizio si correva il rischio di privilegiare, nel rapporto con il mondo cattolico, quello con le gerarchie ecclesiastiche che non lo esaurivano e a volte neppure riuscivano pienamente a rappresentarlo. A mio giudizio invece la sinistra correva un rischio opposto, quello di guardare all’area cattolica, nelle sue esperienze di base, non riuscendo ad avere al tempo stesso un dialogo ed un confronto diretto con le gerarchie, a partire dai Vescovi.

Per non stare solo in una dimensione di serietà e farci prendere da una tristezza troppo grande, voglio richiamare ora anche alcuni episodi divertenti: a volte – ho in mente Livorno – ci siamo trovati a un dibattito, invitati ad una festa di partito. L’iniziativa finì non presto, come quasi sempre avviene. Ci fu fatto l’invito di restare poi a cena: uno disse di no, l’altro accettò subito con grande entusiasmo. A voi indovinare chi sostenne l’una e l’altra posizione: naturalmente, a quel punto, restammo.
L’ultima volta che mi pare di essere stato con lui è a Pisa, per una manifestazione regionale, contro la guerra nel golfo.
Non c’è ora tempo, né ci è richiesto, di analizzare a fondo il suo essere Maestro di Pace: per lui la ricerca della pace non era rassegnazione, indifferenza, ma impegno deciso per costruire la giustizia e affermare i diritti umani.

Trovo profetiche, comunque frutto di una capacità di guardare lontano, le sue parole sulla crisi della modernità, dell’Occidente, le sue riflessioni sul mondo da far essere villaggio planetario, sull’uomo planetario. Oggi lo cogliamo in tutta la sua attualità: il mondo globale può essere, è, villaggio ingiusto, violento, pieno di odio, nemico dei diversi, del pianeta. Va reso villaggio planetario, non lo è di per sé stesso.
Per realizzare l’uomo planetario occorrono una nuova cultura, una etica condivisa. Questo processo richiede un cambiamento profondo del modo stesso di vivere le fedi religiose nel XXI secolo. Se dovessi allora, io, sottolineare l’aspetto che in Ernesto Balducci deve fondare una nuova cultura, un modo nuovo di vivere le fedi, la nostra convivenza, la troverei nel primato della coscienza.
È il primato della coscienza che fonda la centralità della persona, la sua stessa libertà e responsabilità, che ne caratterizza la dignità, che ci permette di essere una famiglia umana, superando distinzioni, differenze, divisioni che non hanno più ragione di esistere. Per questo voglio concludere con una citazione tratta da un articolo di Ernesto Balducci per Testimonianze, la sua rivista, e che poi riprese e sviluppò nell’Uomo Planetario: mi pare che esprima con chiarezza una sua convinzione, una impostazione che ci viene lasciata come impegno ancora da portare avanti. «L’età premoderna è l’età delle guerre di religione, quella moderna è l’età delle guerre ideologiche, quella postmoderna l’età del libero confronto delle coscienze disposte a contribuire a un progetto storico comune, sulla base di un ethos cosmopolitico».