27/1/2012 – PISTOIA – Sala maggiore – ‘Giorno della memoria’

Cerimonia di consegna delle medaglie concesse dal Presidente della Repubblica a tre cittadini della provincia di Pistoia internati nei lager nazisti durante l’ultimo conflitto mondiale

LA  MEMORIA
Oggi, nel Giorno della Memoria, si ricorda la data simbolo in cui il mondo scoprì le atrocità del campo di Auschwitz. È significativo citare testualmente le parole contenute nella legge che definisce le finalità del Giorno della Memoria: «La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
È doveroso ricordare i sei milioni di ebrei vittime del nazismo, gli orrori di quello sterminio, le persecuzioni e i campi di concentramento. A distanza di tanti anni da quell’atroce tragedia abbiamo il compito di impegnarci affinché tutti e le giovani generazioni sappiano cosa accadde in quella stagione di barbarie. Non bisogna mai cessare di ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti dello sterminio e chi tramanda la memoria di chi non è tornato. Solo con la consapevolezza [delle giovani generazioni] potremo difendere con la massima fermezza l’uguaglianza, la libertà, la democrazia, la solidarietà, e impedire che il mondo debba conoscere simili tragedie.
Trovo profonda una frase attribuita a Otto Frank, il papà di Anna, nel film “Mi ricordo di Anna Frank”: «Sai cos’è la libertà Elizabeth? significa addormentarsi sapendo di non aver fatto male a nessuno. Perché libertà e bontà sono la stessa cosa…e non è facile essere buoni tutti i giorni».
La memoria e la narrazione possono contribuire a cementare una comunità, attraverso il ricordo e il racconto degli avvenimenti che costituiscono le radici della nostra libertà, del nostro progresso e dei valori su cui sono fondate la nostra Costituzione e la nostra Repubblica.
La Costituzione – uno degli esempi più avanzati di Carte fondamentali del mondo – unisce gli italiani ed è inseparabile dalla Resistenza. Mai dobbiamo smarrire questa verità. Per contribuire a non cadere mai più nella barbarie, nella notte dei totalitarismi, in ideologie fondate sulla sopraffazione, sul disprezzo dei diritti della persona umana.
La storia della Resistenza è una storia di uomini molto distanti tra loro nelle condizioni sociali, culturali e nelle idee politiche, eppure accomunati da una potente e coraggiosa visione dei valori personali e collettivi, da una inesauribile passione per la libertà contro ogni oppressione e intolleranza, da una tenace speranza di vedere il proprio paese liberato dall’invasore e dalla dittatura.
È nostro compito fare in modo che i valori per cui hanno dato la vita tante persone coraggiose vivano non solo nella lettera della Costituzione, ma nella pratica concreta, nella vita normale di ogni giorno. Dobbiamo impegnarci per costruire il mondo che loro avevano immaginato.
In altre parole, l’unico modo che abbiamo per onorare il loro sacrificio è fare sì che la Costituzione non sia mai lettera morta, ma sempre più lettera viva. Il valore civile che rappresenta deve poter vivere e risuonare nelle azioni quotidiane di ogni cittadino, nessuno escluso.
Il rischio di vedere deperire le nostra istituzioni e i nostri valori civici è sempre più alto, a mano a mano che cresce nella società il senso di incertezza di fronte a parole come crisi, sfiducia, povertà, egoismo, protezionismo, indifferenza, intolleranza. A maggior ragione in una fase storica difficile come quella che stiamo attraversando, in cui i conflitti sociali e le disuguaglianze possono minare la nostra coesione, abbiamo bisogno di dare speranze.

SHOAH, FASCISMO E NAZISMO
Il tributo di sangue della Shoah fu altissimo anche in Italia.
Dei circa 40.000 civili italiani deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne tornarono solo 4.000. Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000. Furono 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, deportati dopo l’8 settembre e che rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della Repubblica Sociale Italiana in cambio della liberazione.
Si stima che in Italia nel periodo tra l’8 settembre del 1943 e l’aprile del 1945 le forze armate tedesche, le SS e le forze della RSI compirono più di 400 stragi, per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni, civili innocenti, donne e bambini.
La Toscana è stata uno dei territori maggiormente colpiti: le stragi nazi-fasciste, concentrate soprattutto tra l’aprile e l’agosto del 1944, furono più di 280, i comuni interessati 83, e i morti tra i civili furono circa 4.500. Lo so, questi numeri oggi sembrano una statistica, magari anche un po’ noiosa: ma dietro questi numeri, dietro ogni numero c’è una persona a cui è stato con violenza e brutalità impedito di vivere.
Tra coloro che conobbero le atrocità della deportazione c’erano anche i tre valorosi cittadini che oggi onoriamo e a cui il Presidente Napolitano ha giustamente concesso le medaglie d’onore: Giovanni Vignoli (deceduto), Orietto Niccolai e Marinello Notari.
Non si possono condannare la Shoah, le leggi razziali senza una riprovazione morale e politica del fascismo e del nazismo, più in generale di ogni totalitarismo. I comandi tedeschi sollecitavano i massacri e garantivano l’impunità dei responsabili. Rispondevano con le stragi di civili alle azioni di guerra dei partigiani  e degli eserciti alleati.
Il nostro paese è in debito con le vittime delle stragi. Nel 1994 a Palazzo Cesi a Roma, nella sede della Procura Generale militare, furono trovati 685 fascicoli sui crimini nazifascisti. È ”l’armadio della vergogna”. Se negli anni immediatamente successivi alla guerra quei fascicoli fossero stati inviati alle Procure competenti, sarebbe stato possibile individuare e condannare i responsabili di quella “guerra ai civili”. Per saldare almeno in parte il nostro debito verso le vittime e i loro familiari, occorre fare svolgere tutti i processi che sono possibili; bisogna sostenere una grande operazione – verità, aprendo e mettendo a disposizione degli storici tutti gli archivi.
La democrazia non può dimenticare, non può essere indifferente, non deve rinunciare a punire, perché i crimini contro l’umanità non possono andare in prescrizione.

STRAGI E VIOLENZA NEL MONDO
I crimini contro l’umanità devono essere perseguiti: non per vendetta ma per spirito di giustizia. La condanna inappellabile verso i responsabili di misfatti orrendi, la memoria che deve saper attraversare i secoli, rappresenta un dovere collettivo. Perché per quanto è nelle nostre responsabilità mai più la storia debba ripetersi.
Sappiamo che a volte – come abbiamo visto nei Balcani, nel Kosovo, a Srebrenica, in Darfur – la storia ritorna con le sue tragedie e lo sterminio di innocenti.
Lo sforzo che stiamo compiendo per tenere alta la memoria della Shoah è un dovere che la comunità mondiale deve fare per tutte le stragi che hanno insanguinato la storia.
Proprio pochi giorni fa il Parlamento francese ha dato il via libera definitivo alla legge che punisce con il carcere chi nega i genocidi compiuti, anche quelli degli armeni del 1915-1917. È una legge giusta, un atto concreto per contrastare le tendenze negazioniste che, purtroppo, caratterizzano tante stragi che hanno macchiato la vita della comunità umana.
Nel periodo precedente la prima guerra mondiale all’impero ottomano era succeduto il governo dei cosiddetti “Giovani Turchi”. In un loro congresso segreto fu deciso di sopprimere gli armeni residenti in Turchia. Con lo scoppio del Primo Conflitto Mondiale furono chiamati alle armi tutti gli Armeni validi che, dopo esser stati separati dai loro reparti, vennero uccisi. Furono arrestati e uccisi tutti gli intellettuali, i sacerdoti, i dirigenti politici. Nelle città e nei villaggi abitati da Armeni rimasero quindi solo donne, vecchi e bambini. Per loro venne decretata la deportazione. Convogli di migliaia di persone vedevano perire tanti componenti lungo il cammino, da affrontare senza acqua né cibo. I mezzi usati per compiere questo sterminio furono di un’inaudita ferocia e di un sadico accanimento contro le vittime. Nel 1916 1.500.000 persone erano state trucidate: la  quasi totalità degli Armeni di Turchia.
È cronaca dei giorni nostri il massacro sistematico compiuto nel Darfur, una regione occidentale del Sudan.
Dal 2003, il Darfur è teatro di un feroce conflitto che vede contrapposte la locale maggioranza nera della popolazione e la minoranza nomade originaria della Penisola arabica, che costituisce maggioranza nel resto del Sudan.
Già nel 2004 l’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, parlò di pulizia etnica e nel 2005, il Sudan, ingaggiò una guerra “sporca” con il Ciad. Una guerra fatta di sconfinamenti, di ruberie e devastazioni di ogni genere. Da allora i due stati si accusano vicendevolmente di continui sconfinamenti, raid e massacri ai danni delle popolazioni che vivono sul confine.
Secondo le stime più autorevoli questo genocidio ha già determinato centinaia di migliaia di morti, 400.000 è il dato più attendibile.
Ho fatto questi riferimenti non certo per relativizzare la Shoah, un crimine che ha offuscato la civiltà umana, ma per dire a ognuno di noi che sui diritti umani si deve essere intransigenti, perché in luoghi diversi, magari in forme diverse, la barbarie, il disprezzo della persona, la violenza contro i diversi per razza, religione, sesso può ritornare.
Un atteggiamento sostanzialmente indifferente di fronte a stragi di popolazioni civili e di minoranze etniche e religiose è il pesante retaggio della concezione ottocentesca della sacralità dei confini nazionali e del principio di non interferenza.
Anche per questo è indispensabile una riforma dell’Onu che renda l’istituzione più importante per il governo delle relazioni internazionali in grado di decidere sanzioni dure ed efficaci, ma anche – quando divenga necessario – di promuovere operazioni di polizia nei confronti di regimi colpevoli di brutali repressioni dei diritti umani.
Non più decisioni arbitrarie, scelte unilaterali operate da singoli paesi, quelli più potenti, sulla base dei loro interessi; non occupazioni militari di altre nazioni, né immorale sproporzione tra fini e mezzi adoperati, ma capacità di intervenire per assicurare il diritto alla vita, alla dignità, al futuro di popoli o di loro minoranze.

La globalizzazione è un processo complesso che ha prodotto anche forti squilibri, gravi disuguaglianze e il mondo soffre ancora di inaccettabili violazioni di diritti umani. Tornare indietro non è possibile: la caduta dei confini e il villaggio planetario sono un processo ineludibile. Ma la sfida si può vincere: dobbiamo costruire la globalizzazione dei diritti, attraverso l’affermazione di un nuovo umanesimo fondato sulla centralità della persona, la sua promozione, sul riconoscimento della sua dignità.
A questo concorrere culture, religioni; in questo trovare una funzione da protagonista l’U.E.
La mia convinzione è che, per questo fine, le culture e in particolare le religioni possano svolgere una funzione importante non solo per i loro fedeli, ma per l’umanità. In questo nostro tempo, se assumono a loro fine l’edificazione della pace, la costruzione di relazioni nella famiglia umana basate sulla non violenza e sulla giustizia, le religioni e le culture sono chiamate a sviluppare una funzione di garanzia per i diritti inalienabili della persona.
Nel terzo millennio, non c’è più la guerra giusta e l’umanità ha bisogno che tutte le religioni, tutte le culture e le concezioni del mondo siano unite attorno al ripudio della guerra, del terrorismo, della violenza; per la promozione di uno sviluppo a beneficio della persona de del nostro Pianeta.
La storia delle stragi è troppo spesso, malauguratamente, anche la storia di fedi religiose usate come bandiera o giustificazione di operazioni di inusitata violenza. Si pensi, solo per citare un esempio recente, al genocidio di Srebrenica: il più sanguinoso massacro in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, oltre 8000 civili musulmani trucidati in pochi giorni nel luglio del 1995 dalle truppe serbe.
Il dialogo è la via maestra per il ruolo positivo che le religioni possono svolgere nella società globale; è ancora il dialogo tra credenti e diversamente credenti che realizza il terreno d’incontro per costruire insieme un nuovo umanesimo.

Un grande compito spetta a ognuno di noi, perché qualche momento delle nostre giornate sia dedicato agli altri, alla cosa pubblica. La politica deve avere la capacità di integrare i cittadini, sviluppando politiche di inclusione, garantendo a ognuno i diritti, pretendendo da tutti il rispetto dei doveri, assicurando la libertà e il pluralismo religioso e culturale, imponendo il rispetto nel confronto-dialogo tra le diverse concezioni.
L’Unione Europea può svolgere un ruolo importante. Dobbiamo recuperare le radici positive, cancellando le cadute nell’intolleranza e crudeltà, l’essere la culla della democrazia, della pace e dei diritti umani; dobbiamo impegnarci per la loro affermazione e diffusione. In particolare, all’Unione Europea è richiesto lo sviluppo di una presenza autonoma nel Mediterraneo, assumendovi una responsabilità diretta per la risoluzione dei conflitti sanguinosi che alimentano abissi di odio, di sofferenze, e chiudono prospettive positive al nostro futuro.
In ogni continente esistono forze, energie, volontà per realizzare un mondo migliore: insieme, tutti insieme possiamo farcela.
L’Unione Europea può essere uno dei protagonisti decisivi per realizzare una nuova e più giusta fase della storia.