L’urgenza di una riforma dei rimborsi elettorali ai partiti è una necessità inderogabile: in questi giorni si discute su come procedere. È importante intervenire con immediatezza per tre motivi: i sacrifici chiesti ai cittadini per far fronte alla crisi richiedono da parte della politica un di più di sobrietà e rigore; dobbiamo dare una risposta forte al legittimo malcontento di fronte alle vicende Lusi e Belsito; non dobbiamo lasciare spazio – ancora una volta – a quei moti di antipolitica che finiscono per attaccare non i difetti della nostra democrazia ma i suoi elementi portanti. Non può essere messa in discussione l’opportunità di prevedere un finanziamento pubblico: i partiti svolgono un ruolo indispensabile di cerniera tra i cittadini e le istituzioni, come vuole la Costituzione. Senza un finanziamento pubblico – del resto previsto nelle democrazie – la politica diverrebbe dominio dei soli ricchi. Torneremmo indietro nella storia: non abbiamo davvero bisogno di poteri ristretti, forti, più o meno oscuri, non legittimati dal consenso democratico. Per questo occorrono regole fondate su trasparenza, responsabilità, una utilizzazione appropriata e controllabile dall’opinione pubblica dei fondi messi a disposizione.
L’entità dei rimborsi elettorali è eccessiva: lo dimostra il fatto che i partiti in questi anni hanno incassato molto più di quanto hanno speso. Per questo, oltre che ridurre la quantità dei fondi, almeno in questi anni di difficoltà per tutti i cittadini, si può imporre ai partiti di restituire alle casse dello Stato le somme non spese per le attività politiche e istituzionali, alle quali -esclusivamente – sono destinate. È necessario, come condizione per erogare i rimborsi elettorali, che i bilanci dei partiti siano certificati da autorevoli società esterne di revisione. Ad oggi, l’unico partito che ha deciso di procedere in tal senso è il Pd, che si avvale della stessa società che certifica i bilanci della Banca d’Italia.
Inoltre, bisogna alzare la soglia minima per accedere ai rimborsi: nel 2002 venne portata dal 4% all’1% dei voti ottenuti alle elezioni della Camera, una misura che, tra l’altro, incoraggia la frammentazione.

Ancora, è stata un’imperdonabile leggerezza – per fortuna questa già rimediata – l’erogazione per cinque anni dei rimborsi, anche nel caso di fine anticipata della legislatura, e a partiti ormai scomparsi. È avvenuto così per Margherita, Ds, Forza Italia e An.
Un altro passo necessario perché non si ripetano i casi Lusi e Belsito è quello di ancorare il finanziamento pubblico a regole di democrazia nella vita interna dei partiti: processi decisionali, congressi, scelta dei candidati alle elezioni, presenza tra di essi di entrambi i sessi.
I partiti di tipo personale non sono realmente democratici: portano con sé forti limiti di partecipazione per la scelta delle linee politiche e   per lo stesso controllo sulle segreterie. Da una gestione politica di stampo personale non può che discenderne una gestione pressoché “privata” nel campo finanziario.

Un’ultima questione: ho già detto dell’urgenza di un provvedimento legislativo rigoroso. Ne va del rapporto di fiducia, da ricostruire, con i cittadini. Il vincolo potrebbe essere quello di sospendere l’erogazione dei rimborsi elettorali, fino a quando non sia stata approvata la nuova legge. È una misura forte? No, è un atto necessario.