La Rosa Rossa n. 1 anno 2012
Periodico politico di cultura riformista

Articolo di Vannino Chiti

Mondo arabo, un anno dopo: le speranze apertesi con le rivoluzioni che abbiamo definito primavera araba si sono già dissolte, svanite dopo i risultati delle elezioni in Marocco, Tunisia e Egitto, vinte dai partiti islamici? Non condivido questi commenti superficiali, frutto della nostra disattenzione ed ignoranza nei confronti degli altri continenti, del mondo arabo e musulmano, come per altro verso della Cina o dell’India, tanto per fare degli esempi. Continuiamo a comportarci come se l’Europa fosse ancora al centro del mondo, mentre il XXI secolo, se non costruiremo rapidamente una vera democrazia sovranazionale – diciamolo chiaramente, un’Europa federale – ci relegherà ai margini della storia, dei processi che contano.

Assistiamo invece ad un triste paradosso: nel momento in cui l’Unione Europea ha assunto responsabilità e competenze fondamentali, nel campo della moneta, delle politiche di bilancio, nella sicurezza e nelle relazioni internazionali, si è tornati indietro nelle forme di governance. Anziché potenziare il metodo comunitario e farlo evolvere verso un modello federale, si è puntato su quello intergovernativo, che rende l’Europa incapace di agire, di avere una politica di ampio respiro. Tanto che oggi, noi progressisti, dobbiamo avere una priorità su tutte: unire le forze riformatrici e democratiche europee attorno all’obiettivo della costruzione di una democrazia sovranazionale, di un’Europa federale.

È questo il terreno sul quale si definisce e caratterizza una nuova sinistra democratica, quella del XXI secolo, comunque si chiami, quale che sia il suo certificato di nascita e il suo percorso storico. Non si è progressisti e di sinistra senza  essere fortemente e coerentemente europeisti: sarà bene tenerlo a mente, anche per le scelte politiche da compiere nelle nostre nazioni! Non esistono terze vie o casi italiani che giustifichino nostri isolamenti dalle grandi famiglie politiche europee. Questo ragionamento non è un diversivo, rispetto ad una riflessione sulla primavera araba: coglie anzi un dato di primario rilievo. Continua infatti ad essere insufficiente la presenza ed il ruolo politico dell’Unione Europea di fronte alle rivoluzioni arabe: continua ad essere sostanzialmente assente un contributo dell’Italia. L’Italia può avere una funzione di rilievo nella costruzione della dimensione politica dell’Europa, se mettiamo a fuoco un interesse nazionale che vi si iscriva in modo coerente: questo orizzonte è costituito dal Mediterraneo, dai rapporti di cooperazione con la sua riva sud. L’Italia è il paese europeo e mediterraneo più importante, solo che la sua politica se ne renda conto: sta in questo ruolo il suo contributo specifico, il suo coniugare nel XXI secolo interesse nazionale e costruzione di un’Europa federale. Va da sé che una tale impostazione scioglie anche, come neve al sole, le farneticazioni separatiste della Lega.

La primavera araba o forse più correttamente il risveglio arabo non produrrà, in uno stesso tempo, il medesimo approdo, neppure dal punto di vista della costruzione di una reale democrazia, nei vari paesi: del resto, se non ci dimentichiamo la storia, non è avvenuto così neppure in Europa, nell’arco di un paio di secoli, che hanno conosciuto avanzate contraddizioni, cadute totalitarie, regimi di inaudita oppressione, infine democrazie, progredite. Ulteriore considerazione: non immaginiamo gli approdi democratici, a cui potranno gradualmente pervenire quei paesi, come una sorta di fotocopia delle nostre società. Non è detto che sia così, anzi lo sarà difficilmente: anche in questo caso non lasciamoci deviare da un eurocentrismo culturale e dottrinario.

Si è di fronte ad un movimento – che io ritengo non si arresterà – di incontro o se si vuole di mediazione tra islam e mondo moderno: da questo processo usciranno le stesse forme della democrazia. Ciò non significa smarrire, in una sorta di indifferentismo e relativismo culturale, assoluto alcuni valori cardine, che segnano gli indirizzi di una società: in primo luogo il rispetto dei diritti umani, cioè il riferimento senza se e senza ma alla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo; il riconoscimento della dignità della persona; il pluralismo dei partiti; l’autonomia delle organizzazioni sociali; la distinzione e reciproca non ingerenza tra religione e Stato.

Fatte queste premesse e criticata la sostanziale assenza politica dell’Unione Europea, vediamo i principali ostacoli che si sono posti sulla strada del risveglio arabo. Il primo è senza dubbio quello della pesante crisi economica: non dimentichiamo che aumenti del costo della vita, soprattutto dei generi di prima necessità, penuria, mancanza di sviluppo e massiccia disoccupazione erano stati il detonatore possente dello scoppio delle rivoluzioni in Tunisia ed Egitto, così come avevano mosso le contestazioni e rivolte nello Yemen, nel Bahrain, la guerra civile in Libia, vinta con l’intervento esterno della Nato, e quella ancora in corso in Siria; su un piano diverso e ben più positivo l’azione riformatrice, in particolare nel regno del Marocco. Le rivendicazioni di libertà e democrazia si sono strettamente saldate alle proteste economiche, alla lotta contro la corruzione dei regimi dei rais: ebbene la situazione economica non è migliorata, ma di gran lunga peggiorata. È questa situazione che ha consentito una più facile e ampia affermazione dei partiti islamici, che pure non erano stati i protagonisti principali nelle rivolte. Di fronte al deteriorarsi delle condizioni di vita delle popolazioni, all’assenza di un programma credibile di riforme economiche, ha prevalso l’organizzazione capillare degli schieramenti dell’islam politico, la loro capacità di offrire forme pur minime di assistenza, la loro contestazione all’ideologia della globalizzazione e di un libero mercato senza regole. Unione Europea e Usa non sono stati in condizione di lanciare qualcosa di simile ad un Piano Marshall per lo sviluppo, come fu dopo la seconda guerra mondiale per la ripresa delle nazioni del vecchio continente.

Secondo
ostacolo: l’irrisolta questione palestinese e il conflitto latente arabo-israeliano. Non si tratta soltanto – ed è una questione fondamentale – della stabilità  e della pace  nell’intera regione medio-orientale: il mancato approdo ad un accordo duraturo, attraverso la realizzazione di uno Stato per i palestinesi, con la garanzia della comunità internazionale al diritto all’esistenza e alla sicurezza per Israele, rappresenta una formidabile ragione per mantenere un ruolo, che sconfina nel condizionamento delle scelte interne alle singole nazioni e in un pesante condizionamento nell’esercizio del potere, da parte dell’esercito. È un dato generale, che appare in tutta la sua evidenza e pericolosità in Egitto. È evidente che nei prossimi anni il cammino di costruzione della democrazia nel mondo arabo passerà attraverso – come è avvenuto in Turchia – la possibilità  di ricondurre l’esercito nel suo ruolo e nella sua propria funzione, cioè subordinato al potere politico. Terzo ostacolo: il rapporto, ancora oggi troppo conflittuale, tra le religioni. Non solo, come appare, tra islam – o meglio suoi settori radicali ed estremisti -, cristianesimo ed ebraismo, ma all’interno dello stesso islam. In paesi del Medio Oriente, a partire dall’Iraq, è in corso una guerra civile, manifesta o strisciante, tra sunniti e sciiti. Questo contrasto, che corre lungo i secoli, si presenta oggi con caratteri in parte tradizionali e in parte inediti, come espressione di uno scontro egemonico tra Arabia Saudita e Iran. Accanto a questo resta ambiguo e inquietante  il ruolo dell’Arabia Saudita, uno dei paesi più ricchi, più oppressivi delle libertà dei cittadini, in particolare delle donne, maggiormente attraversati da disuguaglianze sociali. Eppure l’Arabia non è toccata finora da nessuna contestazione interna, grazie anche al suo essere vissuta come un luogo sacro  per l’Islam: al tempo stesso sul piano internazionale unisce il sostegno ai governi più conservatori, un’azione “controrivoluzionaria” rispetto ai germi di liberazione della primavera araba, con il finanziamento ai nuclei islamici più radicali ed eversivi. In ogni caso il dialogo interreligioso – la capacità cioè delle grandi religioni di trovare, a partire da un rispetto reciproco, da una accettazione del pluralismo delle fedi e delle culture, una ragione di collaborazione attorno ai temi di sviluppo della società a vantaggio della persona – resta un’esigenza insostituibile per dare fondamenti di pace e stabilità all’intero Medio Oriente, per costruire una delle radici insopprimibili della democrazia: l’uguaglianza dei cittadini nello Stato, al di là delle loro convinzioni in una fede religiosa o in una cultura non religiosa. È ancora attorno al rapporto tra religione – Stato – società che si determinerà una divaricazione nello stesso islam politico. In questa fase l’Occidente si limita a registrare un’affermazione alle elezioni dei partiti islamici, ma quello che ci è richiesto è anche di saper distinguere. I Fratelli musulmani non sono quelli di ieri né hanno le stesse impostazioni in ogni paese: in Giordania, in Egitto hanno scelto di misurarsi con le elezioni, di essere soggetti politici in democrazia. Non sappiamo quale sarà la loro compiuta evoluzione, ma certamente non possono essere confusi con i salafiti, con quanti hanno come progetto l’instaurazione della legge islamica, la piena islamizzazione di Stato e società.

I Fratelli islamici, in Tunisia Ennahda, possono al contrario ispirarsi al modello della  democrazia turca e al partito  del Primo Ministro Erdoðan. In conclusione: il risveglio arabo non è archiviato, ma un fermento che segnerà il corso di questi nostri anni e in esso sarà decisiva la partecipazione delle donne. La loro battaglia per una uguaglianza di diritti non è destinata a spegnersi. Credo che gradualmente ne verranno contagiati tutti i paesi arabi, anche se il processo e i suoi esiti non saranno ovunque gli stessi. Del resto basta guardare la drammatica situazione della Siria, ancora alle prese con il baratro nel quale è caduta la sua economia, la repressione delle opposizioni, il peso preponderante nel potere dell’esercito, tanto che il Presidente appare come una specie di Re Travicello, copertura e complice di uno sterminio del suo popolo. Il crollo del regime di Assad ancora non c’è anche perché l’Occidente sta a guardare  e le minoranze religiose, a partire da quella cristiana, temono una destabilizzazione come in Iraq, l’esplosione di una guerra civile senza più controllo, l’islamizzazione. Come si vede, nel microcosmo siriano si ritrovano tutti gli aspetti, che condizionano in questa fase la situazione del Medio Oriente. Soprattutto ritorna una sollecitazione all’Occidente ed in primo luogo all’Europa: non limitarsi a guardare, come sfogliando una margherita, così da prevedere, come fosse già scritto, lo sbocco del risveglio arabo. L’Unione Europea può incidere in modo positivo sui suoi esiti, anzi può contribuire a determinarne il successo o il fallimento, solo che lo voglia e ne avverta la fondamentale importanza. Anche perché nella latitanza e nelle contraddizioni dell’Occidente, la Cina è vicina, presente, più condizionante di quanto appaia. Bisogna allora che scenda in campo l’Unione come soggetto politico-istituzionale, consapevole del suo ruolo, dei suoi interessi, di un suo dovere di essere tra i protagonisti, e non tra le comparse, nella costruzione del futuro.