Sono ancora molti gli ostacoli che continuano a impedire la nascita, accanto allo Stato di Israele – il cui diritto di esistere in piena sicurezza deve essere garantito anche dalla comunità internazionale – di uno Stato autonomo palestinese.
Questo mio sentimento di preoccupazione esprime il bilancio di una serie di incontri che una delegazione del Senato ha tenuto a Gerusalemme, Betlemme e Ramallah con rappresentanti della Knesset, dell’Autorità Nazionale Palestinese, con esponenti religiosi e della società civile.
Anzi, dirò di più: vi è l’impressione che la realizzazione di uno Stato palestinese non rappresenti più una priorità né per l’attuale governo israeliano né per la comunità internazionale. L’attenzione è volta ad altre crisi, come le scelte dell’Iran per il nucleare, le persistenti difficoltà economiche-finanziarie, l’evoluzione della primavera araba. L’Unione Europea viene avvertita come troppo assente, presa come è dalla necessità di far fronte alla crisi economica che la colpisce. Per di più il 2012 è l’anno delle elezioni presidenziali negli Usa: questa circostanza non fa certo essere ottimisti rispetto ad un ruolo statunitense per superare lo stallo nei negoziati. Riguardo alla amministrazione Obama, si registra anzi una delusione per lo scarto, divenuto troppo sensibile negli ultimi mesi, tra annunci e comportamenti concreti. Questi ostacoli , come la ripresa di insediamenti in territori nei quali dovrebbe esercitare una sovranità lo Stato palestinese, stanno logorando credibilità e fiducia. Invece, la nascita di uno Stato per il popolo arabo di Palestina è l’altra faccia della medaglia del diritto di Israele a vivere in pace e in sicurezza: questo obiettivo non può essere all’infinito garantito dalla supremazia militare. Il diritto di Israele ad esistere in quelle terre non trova la sua giustificazione nella tragedia della Shoah, ma corre lungo i secoli della storia dell’umanità. Su questo aspetto non si può transigere: si tratta di un principio irrinunciabile, che ho voluto richiamare anche nella recente riunione dei Presidenti dei Parlamenti dei paesi del G20 a Riyad. Ho già detto dell’assenza di un ruolo forte dell’Unione Europea: anche per questo vi è la necessità di un contributo e di un’azione dell’Italia. Gli esponenti politici palestinesi ce lo hanno chiesto con convinzione. Non si vuole – né si potrebbe ottenere – che l’Italia non sia amica di Israele: ci si domanda che sia “amica della pace”, di svolgere un ruolo perché l’Unione sia maggiormente presente, non deleghi ad altri ma si impegni direttamente per raggiungere l’obiettivo dei due Stati per i due popoli.
Nel corso di questi colloqui, sono stati affrontati anche altri temi caldi dell’area, come il percorso di ricostruzione dell’unità nell’organizzazione palestinese, l’allarme – non solo per Israele ma per tutto il Medio Oriente – determinato dalle posizioni assunte dall’Iran a proposito delle armi nucleari, la situazione in Siria. Il veto posto da Russia e Cina sulla risoluzione Onu di condanna per il regime di Assad ha provocato incomprensioni e malessere nel mondo arabo.
Di queste giornate, mi resteranno forti impressioni anche personali: la visita al centro Mehwar di Betlemme, che opera contro la violenza sulle donne e sui bambini, realizzato e sostenuto dalla cooperazione italiana; la consegna degli attestati ai partecipanti ai corsi di formazione per operatori sociali, gestiti da Acli e Fondazione Giovanni Paolo II; la posa della prima pietra, sempre ad opera della Fondazione Giovanni Paolo II, per un centro sportivo, dopo aver costruito strutture socio-sanitarie; la possibilità che mi è stata data di discutere dei temi contenuti nel mio libro “Religioni e politica nel mondo globale. Le ragioni di un dialogo”  proprio a Gerusalemme, casa di preghiera per tutti i popoli, come è scritto nella Bibbia.
Infine, l’ultimo atto del viaggio in Medio Oriente, l’omaggio allo Yad Vashem, memoriale della Shoah: la cerimonia di ravvivare la fiaccola e di porre una corona di fiori del Senato, non è stata formale. La commozione prende il cuore. L’impegno dello Yad Vashem è quello di restituire una identità personale alle vittime dell’Olocausto. È un atto di giustizia nei confronti di tanti innocenti brutalmente assassinati e una vittoria sull’ideologia nazista che voleva disumanizzare la persona. La memoria come fondamento della libertà e della pace, perché la barbarie non ritorni.