In base a quanto precisa l’Istat, non è vero che gli italiani guadagnano meno dei greci e degli spagnoli, ma lo studio dell’Eurostat conferma un dato preoccupante, che i nostri cittadini conoscono per averlo sperimentato sulla propria pelle: i nostri lavoratori sono tra i meno pagati nell’insieme dei paesi più sviluppati d’Europa, in cui l’Italia si inserisce a pieno titolo. Nel campo dell’industria, dei servizi, del commercio e delle costruzioni, guadagnano la metà dei colleghi tedeschi, un terzo di quelli danesi.
Ha detto bene il ministro Fornero: un problema risiede nella pressione fiscale troppo alta sul lavoro. Il Partito Democratico lo sostiene da molto tempo: bisogna spostare il carico fiscale dal lavoro alle rendite finanziarie e ai patrimoni. In particolare, la riduzione del cosiddetto ”cuneo fiscale” – la variazione tra il costo complessivo sostenuto dal datore di lavoro e il reddito effettivo percepito dal lavoratore – comporterebbe un doppio beneficio: un aumento del potere d’acquisto dei lavoratori e delle famiglie e un minor costo del lavoro sostenuto dall’azienda. Una prima riduzione venne varata dal governo Prodi. Oggi è quanto mai urgente sostenere i redditi dei cittadini, pesantemente impoveriti dalla crisi economica e dalla politica di tagli sociali sostenuta dalle destre in Italia e in Europa. Le risorse che verranno dalla lotta all’evasione fiscale, che il governo Monti sta conducendo con una serietà e un rigore sconosciuti al governo Berlusconi-Bossi-Tremonti, andranno destinate a questa priorità.
È necessario anche aumentare la produttività del sistema Italia. Ce lo impone l’economia globale, ma questo obiettivo non si raggiunge colpendo i diritti e senza accrescere in maniera proporzionata anche le retribuzioni. Anche le aziende e le banche devono compiere uno scatto in avanti: bisogna investire risorse nell’innovazione e premiare l’impegno e il merito dei lavoratori, che sono il cuore di ogni impresa.

La riforma del mercato del lavoro, eliminando la precarietà e rendendo più costosa e meglio pagata la flessibilità, può aiutare anche a riportare gli stipendi degli italiani sui livelli dei principali partner europei. Per questo il governo deve essere in grado di realizzare un’intesa con le parti sociali. È su questo che si valuterà la sua capacità di essere all’altezza dei compiti e delle sfide. Anche Ciampi guidò il governo non venendo alla politica da un partito: in questo senso, diremmo oggi, fu un “tecnico”. Seppe e volle però costruire con sindacati e imprenditori un accordo innovativo, fondamentale per l’Italia. I tempi sono cambiati, la situazione è diversa: i contenuti, come è ovvio, sono altri, ma il metodo della ricerca di un’intesa resta giusto e valido. Una divisione con le parti sociali non aiuterebbe né il paese né lo stesso governo.